La riflessione

Il riflusso della scrittura e l'appiattimento letterario

Dopo vent'anni di rimozione digitale, sintassi e grammatica tornano ad affacciarsi nella nostra realtà producendo conseguenze contraddittorie e ambivalenti nel rapporto con i processi creativi di ogni genere di letteratura
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Roberto Cotroneo
22.09.2022 06:00

Qualcosa sta accadendo. Ma è ancora nebuloso, sfrangiato, sfuggente. Tantissimi anni fa, si era all’inizio degli anni Novanta del millennio scorso, un dirigente di una multinazionale che fabbricava telefoni cellulari ebbe a fare una dichiarazione curiosa. A proposito della recente invenzione dei messaggi sms. A qualcuno era venuta l’idea che un telefono potesse anche contenere parole, scritte attraverso la tastierina dei nove numeri. Il supermanager commentò in questo modo: «È un’idea che non avrà futuro. La gente compra dei telefoni per parlare, non per scrivere». Ogni commento è superfluo. Ora, sarebbe inutile ripercorrere tutta la storia che ha portato la nostra epoca dall’angoscia collettiva per la fine della scrittura e della lettura (la gente non scrive più, e scriverà sempre meno) al vero e proprio trionfo della scrittura, con l’invenzione della email. E poi l’avvento di tutti i social network. Soprattutto il progenitore assoluto: Facebook. Poi sono arrivate le immagini ad affiancarsi, e dopo ancora i video prima attraverso YouTube e poi le storie di Instagram e i balletti di Tik Tok. Ma resta comunque il fatto che lo scrivere è diventato l’asse portante di qualsiasi comunicazione, anche quelle più banali. Se devi comunicare qualcosa al proprio figlio, o a un genitore, è più facile che mandi un messaggio. È più immediato. Ma non era prima più immediata una semplice telefonata? No, le cose cambiano.

Ma solo gli ingenui pensano che scrivere sia solo uno dei mezzi possibili per comunicare. E che lo scrivere equivale a fare un video, un film, o mandare un messaggio vocale. La scrittura di per sé è ambigua, richiede ritmo della frase, può avere mille significati, porta inevitabilmente a una sorta di letteratura, per quanto breve e concisa. La scrittura, anche quando si tratta di poche righe, è già letteratura. E la letteratura ha le sue regole. Il risultato di tutto questo è che in media le persone hanno una discreta abilità a usare frasi e parole e hanno reimparato a utilizzare le strutture della sintassi per comunicare e persino inventare mondi. Lo sanno bene gli editori che hanno visto, tra i manoscritti degli sconosciuti che arrivano nelle case editrici, un miglioramento notevole sulle fasce basse e più ingenue e un peggioramento lessicale, invece, tra gli scrittori che già pubblicano o che fanno mestieri intellettuali. In sintesi: un appiattimento.

C’era da aspettarselo. Si tratta di capire se vogliamo il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma questo è l’eterno dilemma. Per cui quando un uomo molto avanti con l’età come Woody Allen, regista acclamato, più volte premio Oscar, ci dice che il prossimo probabilmente sarà il suo ultimo film, non ci stupiamo troppo. Girare film richiede uno sforzo fisico davvero importante ed è compensibile che a 86 anni non se ne abbia troppa voglia. Sono parole che ha dichiarato al giornale spagnolo «La Vanguardia» e che ha in parte corretto nelle ultime ore. Affermando che non ha intenzione di andare in pensione. Ma la cosa più interessante non è questa. Anche se il prossimo non sarà il suo ultimo film, Woody Allen ha detto che vorrà dedicarsi alla scrittura di romanzi.

Antichi automatismi

Si potrà pensare che l’attività di romanziere è quella che si concilia meglio con la vecchiaia. Richiede certo sforzi mentali ma non fisici, ha il vantaggio della memoria, più sei anziano e più vita hai da mettere sulla pagina, e ovviamente il vantaggio dell’esperienza (ma questo è di tutte le arti). Solo che la scrittura, il silenzio, il tempo stanno riprendendosi i loro spazi. Ed è proprio questo che sta accadendo, in modo nebuloso, ma sta accadendo. La scrittura si allontana dalla velocità delle comunicazioni, si allontana dal «tutto e subito», dagli streaming immediati, entra in una dimensione diversa. Persino un uomo come Woody Allen sente il bisogno di tenersi da parte, di riprendersi i suoi processi creativi. Sono punte dell’iceberg ma, come sempre, dicono qualcosa che sta accadendo in modo sommerso: la fuga, lenta, dalla velocità. E prima di ogni cosa l’abbandono dei social network: ormai infestati da influencer, da raccogli follower a ogni costo, da marketing goffi. È ancora presto per dirlo ma potrebbe essere finita un’epoca. Anche se nessuno sa come potrebbe iniziarne un’altra. Certo è che l’analogico sta tornando ovunque. E persino la scrittura a mano. Ormai il web è pieno di scuole di calligrafia dove si insegna a usare i pennini, gli inchiostri, a riconoscere i diversi tipi di carte e saperle scegliere. Forse è soltanto una reazione, ma potrebbe essere assai di più. Da qualche mese molti amici stanno abbandonando anche WhatsApp. Uno scrittore molto noto mi ha detto: se devi comunicarmi qualcosa e per questo non senti il dovere di chiamarmi, ma soltanto di scrivermi un messaggio veloce, allora non deve essere qualcosa di importante. Difficile dirlo. Ma questo futuro del mondo ripenserà anche il modo in cui abbiamo comunicato in questi ultimi vent’anni.