Saggi

Il sogno infranto dell’impero del giglio

Lo storico del colonialismo Giuseppe Patisso ripercorre l’epopea della presenza francese in Nordamerica
La morte sul campo del generale britannico Wolfe il 13 settembre 1759 durante la decisiva sconfitta francese nella battaglia di Quebec.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
17.04.2019 06:00

Nel 1944, durante lo sbarco in Normandia, le truppe canadesi cercavano di comunicare con gli abitanti della costa parlando un «francese antico». Quella lingua altro non era che una delle eredità della Nuova Francia, un insieme di territori in America del Nord che tra gli inizi del XVI e la metà del XVIII secolo avevano rappresentato il sogno francese di un vasto impero oltreatlantico. Di quell’epopea, destinata a dissolversi nei flutti della storia, traccia ora un accurato profilo (con «L’impero del Giglio», Carocci) lo storico dell’Università del Salento Giuseppe Patisso tra i massimi esperti al mondo di quel periodo.

Professor Patisso, la storia appassionante della «Nouvelle France» segna in profondità ancora oggi ampie porzioni del Canada e degli Stati Uniti come mai, specialmente in italiano, è stata sempre piuttosto trascurata dagli studiosi?

«Il mio lavoro prende avvio durante le lezioni di storia moderna e soprattutto di Storia del Colonialismo svolte presso l’Università del Salento quando gli studenti mi chiedevano il perché fossero state pubblicate in Italia copiose pubblicazioni sull’Impero britannico; spagnolo, portoghese, mentre praticamente pochissimo sulla Nuova Francia a parte qualche sparuto capitolo di opere di carattere generale e universale e la Storia del Canada di Luca Codignola e di Luigi Bruti Liberati. Onestamente non saprei ben dirle i motivi per i quali in Italia la storia dell’Impero francese in America del Nord non abbia avuto quell’attenzione che, secondo me, gli si doveva. Eppure rappresenta la principale chiave di comprensione della Storia del Canada e di una buona parte della stessa Storia degli Stati Uniti d’America».

Il suo poderoso saggio prende in considerazione singolarmente le singole entità territoriali che costituirono l’impero francofono in nordamerica: quali erano e quali le loro rispettive caratteristiche?

«Mi sono reso conto che scrivere una storia che non tenesse conto delle peculiarità delle singole quattro entità territoriali del quale era composto l’impero del Giglio risultava, per me, praticamente impossibile. Parliamo di regioni come il Québec (o Canada), l’Acadia (odierno Nuovo Brunswick e Nuova Scozia), Plaisance (la parte meridionale dell’isola di Terranova) e la Louisiana (odierni Illinois, Indiana, Ohio, Missouri, Kentucky, Arkansas, metà del Tennessee, Mississippi, Louisiana e il Texas orientale). Dal punto di vista climatico si andava dalle sconfinate distese innevate e dai rigidi inverni laurenziani del Québec, fino alle umide e fredde coste dell’Acadia passando per le afose estati della Louisiana terra di “bufali e serpenti a sonagli”.

Organizzazione politico-amministrativa, società ed economia: quali aspetti salienti distinsero quel vasto sistema coloniale?

«Nel periodo della sua massima espansione, ossia tra XVII e XVIII secolo, la Nuova Francia si estendeva dalle prime propaggini della baia di Hudson alla foce del Mississippi, occupando gran parte delle regioni centrali dell’America del Nord. L’amministrazione generale si trovava a Québec, dove risiedeva il governatore generale. Le altre colonie erano amministrate da governatori locali, secondo un sistema amministrativo concepito come fortemente gerarchizzato. Ma le distanze geografiche, le insidie poste in essere dalla natura e dai nativi rendevano molto complesso il controllo costante sui possedimenti. Nelle innevate lande della valle del San Lorenzo o nelle malsane paludi della Louisiana, era difficile reperire le risorse per vivere. Non raramente i coloni francesi dovettero imparare dagli indiani come procacciarsi il sostentamento. Il sistema economico dell’impero del giglio, anche per via del clima non troppo clemente, non era basato sull’agricoltura. Quest’ultima veniva praticata quasi esclusivamente per sussistenza. Buona parte dell’apparato economico dei territori francesi in America era, invece, basato sullo sfruttamento intensivo della fauna terrestre e ittica. La tratta delle pellicce (soprattutto di castoro) così come la cattura, il trattamento e la commercializzazione dei prodotti derivanti dalla pesca al merluzzo e alla balena furono le attività economiche principali dell’Impero gigliato. Certamente non vi era né l’oro né l’argento che i sovrani francesi avrebbero voluto trovare alla stessa stregua dei possedimenti spagnoli e per questo motivo, non rare volte, la stessa madrepatria vide il suo impero come un orpello fastidioso utile solo ad essere usato come merce di scambio per ottenere vantaggi politici o territoriali nel Vecchio Continente».

Uroni, Irochesi, Algonchini... Il periodo storico che lei analizza equivale anche all’incontro/scontro tra europei e leggendarie popolazioni indigene di quei territori: come si rapportarono i francesi con le confederazioni di nativi?

«Nelle dinamiche dei rapporti tra nativi e francesi, vi è una costante che sin dagli inizi caratterizzerà le alleanze nella Nuova Francia: gli Irochesi diverranno nemici giurati dei francesi mentre gli Uroni saranno i loro più fedeli alleati. Infatti se i difficili rapporti con la confederazione irochese rappresenteranno un fattore di destabilizzazione costante nei possedimenti della Nuova Francia per tutto l’arco temporale della sua esistenza, le tribù appartenenti alla confederazione degli Uroni e degli Algonchini, soprattutto quella degli Abenakis, saranno il pilastro sul quale i francesi potranno costruire un sistema di alleanze, commerciali e militari, indispensabili per la crescita e la vita delle colonie. Quando l’esploratore francese Samuel de Champlain cercherà di isolare gli Irochesi dal suo circuito commerciale, nei primi decenni del Seicento, attaccandoli con i suoi alleati nativi (1609-1615), il conflitto per l’egemonia della «traite de fourrures» agirà da polarizzante delle alleanze native nell’area della Nuova Francia. Da questo scontro in poi, si delineeranno due blocchi di alleanze contrapposti e ben definiti almeno fino alla grande pace di Montréal del 1701: da un lato i Francesi con le loro alleanze native, dall’altro gli Irochesi, alleati dei rivali della Francia nel Nord America, prima degli olandesi e poi degli inglesi. Ma l’atteggiamento dei francesi nei confronti dei nativi, in moltissime occasioni, non sarà contraddistinto dalla diffidenza e dall’odio, bensì dal tentativo di integrarsi - anche per finalità economiche e commerciali - con queste tribù arrivando, in taluni casi, a sposare donne indiane: stiamo parlando dei cosidetti corridori dei boschi (coureur de bois)».

Il sogno della Nouvelle France si dissolve dopo la Guerra dei Sette Anni (che Churchill definì la prima vera guerra mondiale della Storia): ci vuole aiutare a comprendere le cause di questa sconfitta?

«La guerra che iniziò nel 1756 e si chiuse con il trattato di Parigi del 1763 fu effettivamente il primo grande conflitto globale in quanto coinvolse le più grandi potenze europee che si confrontarono militarmente non solo nel Vecchio Continente ma in tutte le loro colonie sparse per il mondo. E proprio a causa di questa dimensione globale il conflitto non è conosciuto con una denominazione univoca: essa varia secondo i luoghi e gli stati coinvolti. Così la parte della guerra dei Sette anni combattuta in Europa - e che vide scontrarsi in modo particolare l’Austria e la Prussia - viene chiamata terza guerra della Slesia; il conflitto che fu combattuto in India è conosciuto anche come terza guerra carneatica; lo scontro nella parte settentrionale del continente americano viene anche chiamato guerra ranco-indiana. La sconfitta (tutt’altro che scontata) della Francia in America aveva in nuce un elemento fondamentale: il sottopopolamento delle regioni del giglio. Infatti al momento dello scoppio della guerra dei Sette anni, le colonie britanniche avevano circa venti volte gli abitanti di quelle francesi. La caduta della Nuova Francia, al termine della guerra dei Sette anni, fu quasi una logica conseguenza di questa pronunciata disparità di forze».

In definitiva che cosa rimane oggi di quella lunga epopea storica nell’immaginario collettivo e come eredità culturale in Europa e in America?

«Molto è ancora oggi rintracciabile della presenza francese in Nord America: nella topografia, nella lingua del Canada francofono, nei nomi delle città (Montreal e New Orleans, ad esempio) e in diversi monumenti giunti fino ai nostri giorni. Nella Louisiana ritroviamo la cultura Cajun che nacque a seguito della diaspora degli Acadiani e pertanto in pieno scontro tra francesi e inglesi per il possesso del nordamerica. Divennero Cajun quei francesi che deportati dal Nuovo Brunswick e dalla Nuova Scozia si stabilirono sulle rive del Mississippi. Anche il ricordo dell’arrivo nel Nuovo Mondo delle filles du roi, donne da marito che arrivavano dalla Francia per contribuire a popolare quei territori, rappresenta un elemento essenziale del patrimonio culturale e identitario della nazione canadese e nordamericana tutta».