Il sonoro silenzio delle parole

Che la famiglia, e in particolare la figura materna, sia al centro delle sue preoccupazioni, Xavier Dolan lo ha dimostrato fin dal suo primo lungometraggio (J'ai tué ma mère del 2009) e non si è certo smentito neppure con Juste la fin du monde, presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes. Per adattare a modo suo la pièce omonima scritta nel 1990 dal drammaturgo francese Jean-Luc Lagarce, il prodigioso ragazzo di Montréal (27 anni e già 6 lungometraggi alle spalle) si è attorniato di un quintetto di attori francesi di alta classe. Gaspard Ulliel è Louis, il figliol prodigo, scrittore famoso che torna a casa dopo 12 anni di assenza per annunciare la sua morte imminente; Vincent Cassel è Antoine, il fratello maggiore che lavora in fabbrica e detesta tutto ciò che puzza di intellettualismo; Léa Seydoux è Suzanne, la sorella poco più che adolescente che vive con il mito di Louis senza averlo mai conosciuto; Marion Cotillard è Catherine, la moglie solo apparentemente sottomessa di Antoine; mentre Nathalie Baye è la madre, isterica e logorroica, che cerca invano di far andare tutti d'accordo. Il film si svolge durante la domenica pomeriggio che fa seguito all'annunciato quanto inatteso ritorno di Louis ed è costituito da un susseguirsi di discussioni spesso violente e sopra le righe che Dolan filma essenzialmente in primo piano con la macchina da presa manovrata a mano che sta sempre addosso agli attori. A contare davvero in Juste la fin du monde non è però ciò che i componenti della famiglia si dicono, ma ciò che non osano dirsi e che passa attraverso gli sguardi, i silenzi, il modo di porsi di ciascuno nei confronti degli altri. Secondo una bella formula utilizzata da Marion Cotillard durante l'incontro con i giornalisti svoltosi a Cannes, le parole non sono altro che «silenzio sonoro».