Scienza

James Lovelock oltre la rivoluzione di Gaia

Quarant’anni fa lo studioso britannico descriveva la Terra come un superorganismo
(Foto Shutterstock)
Massimo Cappon
27.05.2019 06:00

Compie 40 anni la teoria che ha rivoluzionato il nostro modo di vedere il pianeta Terra. E ne compie 100 il suo autore, l’inglese James Lovelock. Lo abbiamo incontrato, per interrogarci sul futuro della nostra specie.

Sette anni fa ha lasciato il suo eremo in Cornovaglia e si è stabilito in un vecchio cottage della Guardia Costiera inglese affacciato sulle rive dell’oceano. Cammina tutte le mattine sulla spiaggia, insieme alla amata moglie Sandy, che tiene ancora per mano. Cura il giardino, dove ha ricollocato una statua di marmo acquistata a Firenze che a lui piace pensare sia quella di Gaia, o Gea, la dea Terra dell’olimpo greco-romano. La giornata di James Lovelock non è diversa da quella di tanti altri tranquilli pensionati d’oltre Manica. Nel luglio di quest’anno, però, lontano come sempre dai riflettori, compirà 100 anni il chimico inglese padre della teoria di Gaia, «il pianeta Terra come organismo vivente». E ne sono passati 40 da quando un suo articolo di poche pagine sul New Scientist («Un nuovo sguardo alla vita sulla Terra» era il titolo) rivoluzionò il modo di concepire e studiare la biosfera. «La teoria è oggi più viva e attuale che mai», commenta Lovelock davanti ad una tazza di thè, nel suo studio tappezzato di libri e stampe giapponesi. «L’uomo sta facendo molti danni, sta distruggendo il proprio stesso habitat». Guarda lontano, verso il mare. «L’umanità ha una lunga storia alle spalle e sempre meno davanti a sé. Come io stesso del resto», aggiunge sorridendo. Al traguardo del secolo di vita, Lovelock mantiene una invidiabile autonomia fisica e una sorprendente lucidità intellettuale. Ha segnato da protagonista gli anni della ricerca spaziale, del movimento ambientalista, delle polemiche sul clima. Ma non si è mai lasciato chiudere in nessuna categoria, ha sempre difeso tenacemente la propria indipendenza e la propria libertà di giudizio. «Se non la smettiamo di continuare a bruciare stupidamente petrolio e carbone come abbiamo fatto finora», commenta tagliando corto sulle responsabilità dell’uomo come causa del riscaldamento globale, «la Terra diventerà presto inabitabile. Ho sempre detto che l’opzione dell’energia nucleare era decisamente preferibile, ma questo non è mai stato molto popolare». Nella teoria di Gaia, biologia, geologia, studio del clima, trovano una nuova, rivoluzionaria prospettiva. I grandi cicli della natura, ha spiegato Lovelock in quattro libri di grande successo, l’evoluzione dei parametri fisici, la composizione dell’atmosfera, dell’acqua e del suolo nascono da un’interazione olistica e attiva tra vita e non-vita, al punto da superare antiquate barriere concettuali. In sostanza, si deve pensare alla Terra intera come a una gigantesca cellula in viaggio nello spazio, capace di mettere in atto meccanismi dinamici di autoregolazione che la proteggono dalle interferenze esterne. James Lovelock mi mostra un piccolo cilindro che tiene sul tavolo d’ingresso, con un orgoglio quasi infantile. È lo strumento, da lui inventato, che negli anni Sessanta permise di scoprire la presenza di Ddt nei pinguini dell’Antartide e denunciare l’uso dei pesticidi nelle campagne: i primi, storici segnali di allarme sull’inquinamento globale. Dieci anni dopo, Lovelock era alla Nasa, invitato nel programma di ricerca sulla vita extraterrestre. Era suo il detector spedito nel 1976 con la sonda Viking su Marte. Furono quella esperienza, e le fotografie scattate dagli astronauti del programma Apollo (le prime a mostrare da lontano il «pianeta azzurro» perso nello spazio), a far nascere l’intuizione che avrebbe cambiato per sempre il modo di guardare il nostro pianeta. Oggi la Terra ha la febbre, la temperatura media ha toccato il livello più alto nella sua storia recente. Con l’effetto-serra provocato dalle emissioni di anidride carbonica derivanti dall’impiego di petrolio e carbone e la distruzione delle foreste tropicali, non facciamo altro che aggravare la malattia, mettendo in crisi i delicati meccanismi della biosfera». L’uomo è certamente l’animale più intelligente della storia evolutiva», osserva Lovelock. «Potremmo dunque dire che rappresenta l’intelligenza del pianeta. Anche se sta dimostrando ben poco senso di responsabilità». Le conseguenze potrebbero essere quelle di un boomerang suicida. «La vendetta di Gaia» è il titolo del suo ultimo libro: un monito chiaro, per far capire che i sistemi di autoregolazione non resteranno sempre favorevoli all’uomo. «La vita esiste sulla Terra da oltre 3 miliardi di anni e ha fronteggiato catastrofi ben più gravi di oggi», commenta Lovelock con il suo tipico humour. «Io penso che sopravviverà ancora a lungo. Ma la cosa interessante è che potrà continuare ad esistere sotto tante altre forme. Anche senza la specie Uomo». Cosa possiamo fare allora per ritrovare l’equilibrio perduto con l’antica MadreTerra ? «Ciò che conta veramente», conclude Lovelock, «è capire il mondo che ci sostiene e nel quale tutti viviamo. Dobbiamo capire cosa lo fa funzionare, come funziona, rispettarlo. Quando lo capiremo, quando capiremo Gaia, allora sapremo anche cosa fare per salvare il pianeta».