Jerry Calà a Lugano: «Del Ticino adoro i grotti e il pubblico, sempre molto caloroso con me»

Si può avere nostalgia di un passato mai vissuto o solamente sfiorato? Evidentemente sì, quando sale quella sensazione di sentirsi sempre fuori luogo e fuori tempo. Ed è allora che anche i più giovani scavano nel fascino dei giorni perduti. Gli anni Ottanta, in particolare, non sembrano mai morti. Con musiche, film e mode che, spesso e volentieri, tornano di prepotenza nella nostra quotidianità. Jerry Calà rappresenta l’emblema vivente di questo eterno ritorno. Quando il sapore di mare restava incollato pure sottopelle, perché l'estate non era solo una stagione, ma uno stato d'animo. E si sognavano le vacanze di Natale già a gennaio, per poi fuggire lontani, innamorati, anche solo per pochi minuti. I telefonini e i social non appartenevano neppure al mondo delle idee, ci si conosceva e si scopriva il mondo respirando la vita a pieni polmoni. Era tutto più semplice, sicuramente più leggero. Almeno, così ricorda chi c'è stato in quegli anni. Così immagina chi avrebbe voluto esserci. Leggerezza, nostalgia e musica sono le colonne portanti dello spettacolo «Non sono bello… piaccio!» di Jerry Calà. In vista della show di sabato 18 ottobre, in scena alle 20.30 al padiglione Conza di Lugano, abbiamo fatto due chiacchiere con l’attore, musicista e comico italiano, tra ricordi e aneddoti.
Jerry, cosa deve aspettarsi il pubblico ticinese dal tuo show «Non sono bello... piaccio»?
«È uno spettacolo in cui racconto me e la mia carriera. Soprattutto attraverso la
musica. Quindi le colonne sonore che hanno sempre avuto molto
peso nei miei film».
Indimenticabili quelle di «Sapore di mare» e «Vacanza di Natale»...
«Negli anni Ottanta abbiamo lanciato, in un revival
infinito, la musica dei Sessanta, come in Sapore di mare, la cui colonna sonora ottenne un grandissimo successo. Ricordo che il disco vendette qualcosa come 800 mila copie, cifre oggi impensabili. In Vacanze di Natale, invece, proponemmo le più belle canzoni di quel
periodo. Brani che ancora oggi sono apprezzatissimi e molto suonati nei locali,
persino dai più giovani. Ma oltre alle canzoni di quei film, sabato proporrò pure la colonna sonora della mia vita. Le canzoni con cui sono cresciuto, specialmente quelle di Lucio Battisti».
Quanto è stato importante Battisti per te?
«Beh, dico solo che inizio lo spettacolo con una sorta
di "messa cantata" in cui il pubblico diventa un coro di fedeli di Battisti. Il giusto tributo a canzoni meravigliose. Poi si
prosegue con la mia hit parade di canzoni "da gita", quelle che si cantavano
in compagnia sul pullman che ci portava in vacanza. Quindi da Io ho in mente te dell'Equipe 84, a Bandiera Gialla di Gianni Pettenati, sino ai Ricchi e Poveri. Farò un monologo su quel periodo: sulle
gite, su come eravamo noi da giovani e su come ci rapportavamo con le ragazze».
Come eravamo da giovani?
«Senza telefonini e senza social. È soprattutto la comunicazione ad essere cambiata. Durante lo show farò un paragone tra la gioventù degli anni Settenta/Ottanta e quella di oggi. Parlerò, ad esempio, di come ci si fidanzava una
volta, ma senza moralismi, in modo divertente, tra le risate
del pubblico. Perché la gente si riconosce in quello che dico. C'è tanto spazio per il cabaret, con
le citazioni di Cochi e Renato o Enzo Jannacci. È uno spettacolo vario, dove si ride
e si canta. E alla fine non può mancare Maracaibo...»
La gente riesce a stare ferma su quella canzone?
«È sempre un tripudio. Anche nei luoghi più seri alla fine il pubblico non resiste: si alza e fa i trenini pure in teatro».
Hai detto che tra il tuo pubblico ci sono anche i giovanissimi. Loro capiscono quello che hai vissuto negli anni Ottanta?
«Assolutamente sì. Hai centrato il motivo per cui i miei
spettacoli sono gremiti di persone che non erano ancora nate quando registravo i miei primi successi. Molti ragazzi hanno scoperto quei film sulle piattaforme online e, guardandoli, ne sono rimasti "attaccati". Capiscono che in quel periodo forse
noi giovani ci divertivamo di più. C'era maggiore entusiasmo. Si respirava un'altra atmosfera, c’era più leggerezza. E la leggerezza è proprio alla base del mio spettacolo, perché ogni tanto ci vuole anche quella. Molti giovani mi confessano che se avessero vissuto in quel periodo si sarebbero divertiti di più»
Ma gli anni Ottanta non sono mai finiti veramente, in qualche modo tornano
sempre. Perché? Eravamo felici e non lo sapevamo?
«Lo sapevamo, ma non abbastanza».
In una intervista al «Corriere della Sera» hai raccontato di esserti innamorato di una donna svizzera che aveva 20 anni in più di te...
«Avevo 20 anni e lei 40. Fu un'avventura giovanile. Mi innamorai durante una vacanza a Cesenatico, era una donna bellissima. Andavo spesso a trovarla a Zurigo con il treno».
Com'è il tuo rapporto con il Ticino?
«Ottimo. All’inizio della carriera abbiamo fatto una bellissima
trasmissione che ho recentemente ritrovato in Rete. Andava in onda sull'allora TSI e si chiamava "Io e i Gatti". Noi Gatti di Vicolo Miracoli eravamo giovanissimi e facevamo gli alunni. Il maestro era interpretato da Bruno Lauzi. In Ticino ho trovato grande professionalità. E poi nei grotti si mangia benissimo, li adoro. L’estate scorsa ho fatto uno
spettacolo con altri artisti in piazza Grande a Locarno, dove c’erano
migliaia di persone. Ancora prima, ho portato uno spettacolo a teatro a Bellinzona. Il pubblico ticinese è calorosissimo con me, torno sempre volentieri».
La comicità oggi però non è più quella di un tempo...
«È più difficile a causa del politicamente
corretto. Certe battute che una volta facevamo spontaneamente, oggi sarebbero
ritenute scorrette. Purtroppo c’è anche autocensura da parte dei
comici. Non sono il solo a criticare questa situazione, ma pure miei eminenti
colleghi come Carlo Verdone: ci siamo un po’ stufati, la
comicità dovrebbe essere libera e irriverente».
Qual è la tua battuta più riuscita?
«Sicuramente quelle che il pubblico apprezza maggiormente. Quando mi fermano, i fan citano sempre il tormentone “libidine, doppia
libidine, libidine coi fiocchi”. Molti altri invece confessano di averci "marciato" anche loro, quando erano giovani, con il “non sono bello, piaccio”. Non a caso è il titolo dello spettacolo».
Oggi che sogno ha Jerry Calà ?
«Vorrei recitare in un film diretto da mio
figlio, Johnny, che si è appena laureato in cinema alla Civica Scuola di Cinema "Luchino Visconti" di Milano. Sta intraprendendo la carriera di regista: il mio
sogno, oggi, è essere l'attore protagonista di un suo film».