Kurt Cobain, venticinque anni dopo

La notizia era girata in fretta quella sera, lasciando in molti sgomenti e tutti increduli. Era l’8 aprile del 1994. Il corpo era stato trovato solo tre giorni dopo la morte, perché il leader dei Nirvana si era tolto la vita il 5 aprile sparandosi in testa. Esattamente venticinque anni fa. Lui di anni ne aveva 27. Subito si scatenò la retorica sulle morti del rock: come Hendrix, come Morrison, come la Joplin. Sta di fatto che però gli anni erano proprio quelli, 27, e che anche Cobain, in quella storia ci entrava di diritto. Perché con i Nirvana una scossa forte al panorama musicale di quegli anni l’aveva data eccome, una scossa che, anche dopo che il grunge si fu tramutato in una moda e come moda si spense, ha lasciato dei segni profondi. L’anno della svolta è il 1991. I Nirvana erano già in attività da un po’, il loro primo album Bleach è uscito nel 1989. Un fenomeno immediato nella scena alternativa ma ci vuole il fiuto di una major e l’intervento di Mtv per far diventare il loro album Nevermind un fenomeno planetario sulle note dirompenti, semplicissime, efficaci come non mai, di Smell Like Teen Spirits che bombardano da ogni televisore sintonizzato in quell’anno sull’emittente musicale. Un taglio al rock imbellettato dell’immediato passato, che ne cambia il volto radicalmente. Va detto che però, i tempi erano maturi. Oltre al grunge – che esplode anche con band come Pearl Jam o Alice in Chains o Soundgarden e che fa di Seattle la sua capitale -, qualcosa era nell’aria in quel tempo. I Guns N’Roses, che nel 1987 si erano fatti strada a morsi nel panorama rock, in quello stesso 1991 sono all’apice della fama. I Metallica pubblicano il loro Black Album. C’è voglia di rock in quel momento. Ma il grunge, come corrente, nella sua immediatezza, nella sua grezza energia postpunk, nel suo rumorismo alternativo, coniugato però con un istintivo e vincente intuito per le melodie pop, è perfetto per dar voce – si dirà – a una generazione x non ancora etichettata. Per qualche anno spazzerà via tutto e da sporco gioiello alternativo diventerà la miniera d’oro dell’industria discografica, in un paradossale cortocircuito. Cobain ne diventa il simbolo. Ma la fama porta il suo peso e le spalle sue fragili non lo reggono, fra ansie e angosce che con le droghe prova ad attutitre. Non aiuta neanche il matrimonio – e la conseguente esposizione mdeiatica – con Courtney Love, leder delle Hole da molti dipinta come un’arrivista. Né le accuse di Vanity Fair alla coppia di aver fatto uso di droga mentre Courntey aspetta un figlio, una bimba, Frances Bean, che per fortuna nasce sana nel 1992. I Nirvana pubblicano ancora Incesticide, poi In Utero ma ormai Cobain è in caduta libera. Durante il tour europeo, a Roma, viene ricoverato per un’overdose di tranquillanti e pillole. Torna a casa, negli Stati Uniti e si ricovera a Los Angeles. Sparisce dalla clinica il 1. aprile e pochi giorni dopo sarà ritrovato morto. Le teorie del complotto non sono mancate in questi anni. E negli anni hanno raggiunto Cobain molti altri suoi compagni di avventura da Layne Staley degli Alice in Chains, a Scott Weiland degli Stone Temple Pilots a Chris Cornell dei Soundgarden, protagonisti anche loro di quel periodo intenso e maledetto.