Opera

La grande attualità di Tosca

Un sontuoso allestimento del capolavoro di Giacomo Puccini diretto da Riccardo Chailly inaugura sabato 7 dicembre la stagione lirica del Teatro alla Scala, tra scenografie quasi cinematografiche e un finale «a sorpresa»
I tre protagonisti principali dell‘opera Anna Netrebko (Tosca), Francesco Meli (Cavaradossi) e Luca Salsi (Scarpia). © Brescia/Amisano – Teatro alla Scala
Red. Cultura&spettacoli
06.12.2019 06:00

In tempo di #metoo pare a dir poco attuale la storia di Tosca, l’opera di Giacomo Puccini che domani aprirà la stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano sotto la direzione di Riccardo Chailly, la regia di Davide Livermore e con un cast guidato da Anna Netrebko. Ma ad essere attuale – oltre alla storia della cantante molestata dal perfido Scarpia che le promette, mentendo, di salvar la vita al suo amato se cederà – secondo Chailly è soprattutto la musica di Puccini. «È scritta nel 1900 ma è uno squarcio sul futuro di tutto quello che viene più di un secolo dopo», spiega il maestro. «La modernità del soggetto, la grandezza della musica rende Tosca attualissima, credibilissima e affiancabile a realtà molto crude e dure della nostra società». «È evidente che si tratta di una storia senza tempo. Spero che non valga per il futuro ma per la contemporaneità sì. Noi però», aggiunge il regista Davide Livermore, «non facciamo cronaca ma arte».

La modernità del soggetto, la grandezza della musica rende Tosca attualissima, credibilissima e affiancabile a realtà molto crude e dure della nostra società

Una doppia prima
La Tosca di Chailly e Livermore può essere in qualche modo considerata una prima assoluta. Continuando un lavoro di riscoperta, il direttore ha infatti deciso di eseguire la prima versione dell’opera, andata in scena il 14 gennaio 1900 al teatro Costanzi di Roma. Una versione mai più sentita da allora che prevede otto elementi musicali in più incluso «il finale che allarga il tempo teatrale del doppio rispetto a quello che siamo abituati ad ascoltare» al suicidio di Tosca. Un finale che «chiede un’idea registica nuova» assicura Chailly.

Quasi una «wunderkammer»
L’impegno è stato imponente, una macchina scenica che nel primo atto permette di vedere la chiesa di Sant’Andrea della Valle in cui è ambientata l’azione da diverse prospettive, quasi «zoomando» su quanto accade. Ma invece di spostare le telecamere come succede nel cinema, a spostarsi e ruotare è la scena. Tutto per accompagnare la partitura. «È una “wunderkammer” delle sensazioni di una donna» ha sottolineato Cristiana Picco, che ha curato la scenografia. E nella camera delle meraviglie rientra anche il finale «a sorpresa» con tanto di Tosca (grazie a una controfigura) che – racconta chi l’ha vista – pare sospesa nel vuoto. «È una sintesi fra la tradizione e il futuro dello spettacolo» ha spiegato Alexander Pereira, alla sua ultima prima come sovrintendente: dal 15 dicembre passerà alla direzione del Maggio musicale fiorentino, sostituito da Dominique Meyer. Un cambio ai vertici che, assicura Chailly non modifica il progetto in corso regato all’esecuzione integrale delle opere di Puccini.

Giacomo Puccini e i suoi legami con il Ticino

Una foto del compositore all’epoca del suo soggiorno in Ticino. © Cdt/Archivio
Una foto del compositore all’epoca del suo soggiorno in Ticino. © Cdt/Archivio

La Tosca di Giacomo Puccini fu terminata centoventi anni or sono e a giorni rivivrà alla Scala con la direzione di Riccardo Chailly. Novantacinque anni fa, il 29 novembre, il Maestro se ne andò e il suo ultimo viaggio lo fece passando da qui. Il Ticino gli piaceva e avrebbe voluto abitarci. Lo aveva conosciuto quando qui compose la sua prima opera abitando come un poveraccio in una casuccia su due piani dove sotto c’era una stalla. Era venuto qui perché doveva starsene in pace e riparato dopo avere iniziato la convivenza con una donna sposata, moglie di un droghiere lucchese; a quei tempi le farmacie erano con i sagrati delle chiese e i piazzali i luogo in cui giravano i pettegolezzi. A Lucca girava lo scandalo. A Vacallo nessuno sapeva chi fossero quel distinto signore sulla trentina - ma allora i trentenni sembravo cinquantenni - e quella signora che usciva solo per qualche spesuccia o la vedevano stendere i panni nel vicoletto delle mucche. Poco distante da loro Leoncavallo componeva i suoi Pagliacci e “malalinguava” sul suo rivale. La sua prima opera fu Le Villi su libretto del Ferdinando Fontana, che volle essere sepolto a Gentilino, dove sarebbe andato anche il celebre direttore d’orchestra Bruno Walter.

La casa di Vacallo dove soggiornò Giacomo Puccini.  © Cdt/Archivio
La casa di Vacallo dove soggiornò Giacomo Puccini. © Cdt/Archivio

Era un Ticino che conquistava per la sua discrezione ma non sfuggivano le chiacchiere e quando Puccini avrebbe voluto portare qui la sua vita le spie lo segnalarono al governo italiano come una spia: frequentava una bellissima aristocratica tedesca, la baronessa Jospephine von Stengel. Il delegato di polizia di Chiasso fu inflessibile: «Maestro, non potrà più entrare». Un suo amico, che era il segretario generale del Ministero degli esteri, con rammarico lo aveva preavvertito; era Salvatore Contarini, divenuto poi senatore, i cui discendenti qui risiedono. Il pittore Luigi Rossi lo aveva ospitato in Capriasca e a Castagnola una bella casa lo aveva affascinato. Forse quando andava in Capriasca passando da Canobbio, fra gli operai intenti allo scavo delle gallerie c’era l’operaio sobillatore Mussolini, che anni dopo avrebbe fatto aspettare Puccini due ore prima di riceverlo quando era diventato il duce. Puccini voleva venire qui e invece ci ripassò soltanto quando la sua salma venne portata a Milano da Bruxelles. Il Ticino gli manifestò amore e ammirazione, poiché quando si sparse la notizia della sua morte si sapeva che il treno sarebbe passato da qui.

All’epoca il Ticino conquistava per la sua discrezione ma non sfuggivano le chiacchiere: quando Puccini avrebbe voluto portare qui la sua vita le spie lo segnalarono come una spia

Come ricordavano i testimoni, da Airolo a Chiasso le stazioni erano gremite. Il medico più noto del Mendrisiotto portò la famiglia alla stazione e poi a casa eseguì alcune pagine pucciniane; lo ricordava spesso suo figlio, il compositore e direttore dei programmi musicali della radio, Carlo Florindo Semini. A Lugano era scesa dal treno la baronessa che da Bruxelles era stata sul convoglio. Era stata lei la splendida signora che entrata nell’ospedale belga aveva deposto sul Maestro un mazzolino di violette. Il loro fiore. Era stata l’ultima rondine. La stazione di Airolo ebbe un episodio memorabile: amico di Puccini, il giornalista e storico musicologo Arnaldo Fraccaroli, del Corriere della sera, viaggiava su quel treno e lì consegnò a un telegrafista il suo articolo da trasmettere. Da Airolo a Milano allora ci volevano sei o sette ore e quando il feretro di Puccini entrò nella stazione Centrale gli strilloni avevano l’edizione del giornale fresca di stampa. Il figlio del marconista ricordò questo episodio alla radio. Piazza del Duomo si riempì come mai lo era stata. La Scala ne avrà gli echi per l’inaugurazione, con Tosca. La sua opera complessiva aveva cambiato il mondo dell’opera, anche superando il grande Verdi, con il quale è comunque sempre testa a testa nelle preferenze. Con lui, con la morte di Liù nella Turandot finì l’opera lirica. Ma in tutti i teatri del mondo rivive, poiché, sempre testa a testa, è con Verdi ancora il più amato. Salvatore Maria Fares