Letteratura

La lezione di vita di Irvine Welsh illumina Babel

La 14. edizione del festival bellinzonese era dedicata alle lingue fantastiche e quelle inventate
Lo scrittore scozzese Irvine Welsh. (Foto Zocchetti)
Viviana Viri
16.09.2019 06:00

Dopo aver esplorato l’Aldilà e il Brasile, il Festival di letteratura e traduzione Babel si è spinto quest’anno ai confini delle lingue naturali uscendo ancora una volta dagli schemi tradizionali e riuscendo con la fantasia e l’inventiva a creare un programma suggestivo e quanto mai attuale. La sua 14. edizione che si è conclusa ieri a Bellinzona, dal titolo Non parlerai la mia lingua, ha permesso al pubblico, che ha risposto con grande partecipazione, di esplorare lingue immaginate che hanno dato vita e ci hanno permesso di accedere ad altri mondi «in un momento in cui – ha spiegato il suo direttore artistico Vanni Bianconi - polarità radicali spezzano in parti non comunicanti un numero drammatico di Stati-nazione devastati dai populismi di chi incita all’odio oppure ammutolisce per il politically correct, rinunciando così a qualsiasi volontà di comunicare tra loro e portando la società quasi sull’orlo dell’afasia».

In questa edizione Babel ha infatti voluto indagare in quanti modi l’essere umano ha saputo desiderare ed è riuscito a comunicare in casi di incomunicabilità estrema, proprio come hanno fatto gli ospiti di quest’anno. «Babel - ha spiegato il direttore del DECS Manuele Bertoli - è una manifestazione che ragiona intorno a un concetto diverso da quello proposto da altri e che mette in luce la figura del traduttore, quella persona che come ha fatto Virgilio con Dante è capace di accompagnarci in un contesto sconosciuto e spiegare la lingua e la cultura degli altri a chi non la conosce». «Tradurre – ha aggiunto Bertoli - non significa infatti soltanto riportare un testo ma riportare anche un’altra cultura nella nostra, e questa è un’arte ancora troppo poco celebrata, soprattutto in un momento in cui le lingue sono sempre più vicine a un grosso cambiamento dettato dall’intelligenza artificiale che sarà sempre più in grado di farci comunicare parlando ognuno la propria lingua, ma senza capire la cultura degli altri».

Per tre giorni il Teatro Sociale, dopo l’inaugurazione al Convento delle Agostiniane di Monte Carasso con le riflessioni del linguista Nunzio La Fauci sul costante mutare del linguaggio e il DJ set dell’autore di quel Trainspotting che ha segnato gli anni Novanta, Irvine Welsh, che ha ripercorso la colonna sonora che ha fatto la fortuna del film di Danny Boyle, ha ospitato scrittori e traduttori che si sono confrontati sul tema. Tra i numerosi ospiti lo scrittore italiano Paolo Albani, che studia, conosce, cataloga e racconta le lingue immaginate, ha dialogato con il creatore di uno dei casi più misteriosi e articolati di lingua fantastica e mondo fantastico che molti ancora cercano di decifrare, Luigi Serafini, autore del Codex Seraphinianus, amato da Calvino e Barthes, Manganelli e Tim Burton. Ad affrontare il tema della responsabilità del linguaggio Claudia Durastanti e la scrittrice messicana Valeria Luiselli, che nel suo ultimo libro L’archivio dei bambini perduti affronta il tema della frontiera come silenzio: il silenzio dei bambini messicani che cercano di attraversare il confine con gli Stati Uniti. «La narrativa – ha spiegato Valeria Luiselli - è il solo spazio per umanizzare i migranti raccontando la loro storia, giornali e saggistica spesso sorvolano le individualità disumanizzando le persone». Valeria Luiselli ha poi spiegato quanto la violenza oggi nasca e venga perpetrata nel linguaggio.

La serata di sabato si è poi conclusa con l’attesissimo incontro con Irvine Welsh. In un Teatro sociale gremito lo scrittore e drammaturgo scozzese accompagnato dalla sua traduttrice Giuliana Zeuli e da Alan Alpenfelt ha ripercorso la genesi del libro che lo ha reso celebre. «A quell’epoca facevo moltissime cose e a un certo punto ho pensato che la mia vita stile Trainspotting fosse troppo noiosa quindi ho smesso con tutte le droghe e mi sono trovato un lavoro responsabile, di quelli in cui timbri il cartellino. È stato in quel momento che mi sono messo a riflettere su come ci fossi finito in quel tipo di vita che non era quella che si pensava per me. Trainspotting è stato così interamente sponsorizzato dalla Città di Edimburgo perché l’ho scritto durante il lavoro. Chiaramente – continua Welsh - quando entrava la mia capa riportavo sullo schermo tutte le cose noiose che per contratto dovevo fare. È stato così che è venuta fuori questa rievocazione di quella che è stata anche la mia esistenza. Come dice Iggy Pop non è la morte ad ammazzarti ma sono la noia e l’indifferenza. Per me è chiara una cosa, si invecchia in modi diversi. Uno è quando il corpo a un certo punto cede e ci possiamo fare poco. Ma l’altro è invecchiare dentro, smettere di fare le cose che ci piacciono adattandoci su un binario facile che attraversa la vita, una sequenza già prestabilita che ci richiede la società, però poi succede che se tutto il tuo mondo va in pezzi, perdi il lavoro o fai degli investimenti sbagliati, non ti resta più niente, neanche una piccola riserva per salvarti. Quello è il momento della tragedia, per questo è ancora più importante non smettere di fare le cose che ci piacciono. In Trainspotting volevo semplicemente descrivere in che modo quei ragazzi erano finiti a farsi di eroina e ho semplicemente usato la stessa lingua che le persone reali usavano per esprimere se stesse, i loro sentimenti e le loro esperienze. Ho provato a scriverlo nell’inglese medio che più o meno tutti conosciamo, ma non aveva lo stesso sapore, non funzionava, gli mancava una dimensione».

La 14. Edizione di Babel si è poi conclusa affrontando il tema delle traduzioni impossibili, quelle che creano la loro lingua e chiedono al traduttore di inventarne una sua. In una tavola rotonda i traduttori di opere estreme, Franca Cavagnoli (Huckleberry Finn, Pasto nudo), Roberto Francavilla (l’opera completa di Clarice Lispector), Moshe Kahn (traduttore in tedesco dell’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo), Fabio Pedone (Finnegans Wake), hanno dialogato con Franco Nasi, autore di Traduzioni estreme.