L'intervista

«La musica, per me, è un affare di famiglia»

Beatrice Rana, pianista italiana, allo scoccare dei 30 anni è fra le più affermate artiste a livello mondiale – Domani sera sarà protagonista, insieme all'Orchestre de Paris, del concerto di LuganoMusica al LAC, patrocinato dal Corriere del Ticino
© Simon Flowler/ Parlophone Record
Giovanni Gavazzeni
11.05.2023 06:00

«La musica è questione di famiglia, viscerale». Parola di Beatrice Rana, figlia di docenti-pianisti e sorella di violoncellista. Allo scoccare dei 30 anni la pianista italiana è fra le più affermate artiste a livello mondiale, basta scorrere l’elenco delle sedi blasonate dove suona quasi 90 concerti l’anno e vedere le collaborazioni prestigiose, come quella con l’Orchestre de Paris assieme alla quale sarà protagonista, domani sera al LAC di Lugano del concerto di LuganoMusica patrocinato dal Corriere del Ticino.

Partiamo dalle sue radici, il Salento, la punta dello stivale più a Oriente d’Italia.

«Sono nata a Copertino, ma ho vissuto nel paese limitrofo, Arnesano, nel Salento settentrionale, estremo Oriente d’Italia circondato dal mare. Un luogo autentico che preserva la sua identità proprio perché molto isolato dal mondo».

E per andare a sentir musica doveva fare molta strada. Ci vuole carattere.

«Sì. Ogni famiglia al nostro paese ha un soprannome che ne riflette il “carattere”: il nostro è ‘mpiccia, che vuole dire “che prende fuoco facilmente”». Per la musica si è ‘mpicciata subito... «Sì, come per tutte le cose che mi riguardano e interessano profondamente».

Qualcosa mi suona che nel suo carattere c’è un pizzico di permaloseria naturale.

«Sono estremamente permalosa. Per fortuna il mio fidanzato è musicista, capisce la follia: sarebbe complicato spiegare a chi non lo sa che la musica è una presenza ingombrante, non per i continui spostamenti, ma per la sua natura: esige sempre il massimo. Studio di media 4/5 ore al giorno, ma il cervello non si ferma mai. Per ricaricarmi cerco il silenzio: è un momento sacro».

C’è chi si rilassa coltivando vini pregiati o guidando jumbo-jet.

«Io non potrei mandare avanti un azienda, né pilotare un aereo. Sono semplice e in aereo preferisco leggere i romanzi di Murakami, ora I figli della mezzanotte di Salman Rushdie. Chi ha amato fra i mostri sacri del pianoforte? «Sono tanti».

Allora, se facessimo il gioco della torre: Pollini o Benedetti Michelangeli?

«Pollini l’ho amato da subito; Benedetti no, l’ho amato dopo, ma sono così diversi e necessari, ma nessuno dei due è stato il mio spirito guida».

... che è

«Martha Argerich: amore a prima vista e Krystian Zimermann, amore più tardivo, captato nei concerti, mentre la forza vitale della Argerich si percepisce anche nelle incisioni».

A Lugano suonerà con l’Orchestra de Paris diretta da Klaus Mäkelä: ha già lavorato con lui?

«E uno shock lavorare con un direttore più giovane di me, è la prima volta che mi capita. Però Klaus è un’anima senza età: potrebbe avere 25 come 70 come 50 anni. Ha la tempra e il fuoco dei ventenni ma allo stesso tempo è molto maturo. Abbiamo lavorato tre anni fa insieme a München e ad Amsterdam con il primo di Ciaikovskij. Nel primo concerto lui sostituiva il direttore; nel secondo io rimpiazzavo il solista. Finalmente in questa tournée siamo insieme per volontà, non per necessità».

Nella sua carriera ha avuto un ruolo speciale Antonio Pappano, artista dal cuore campano e dall’educazione inglese, un campano anglizzato.

«Pappano è un cittadino del mondo con un cuore del sud a cui devo molto: è stato uno dei primi a credere in me dopo avermi sentito suonare il primo di Ciaikovskij ha deciso di portarmi in tournée con l’Orchestra di Santa Cecilia in Sudamerica e in tanti altri luoghi».

È stato lui il legame per le incisioni con la casa discografica di entrambi, la Warner?

«No, è stata coincidenza fortuita. Un giurato del concorso pianistico di Montréal, il pianista francese Jean-Philippe Collard, non appena annunciarono che avevo vinto, si avvicinò e mi disse che avrebbe parlato di me. Fissò un appuntamento a Parigi con Alain Lanceron e da lì nacque il contatto con la Warner, ero solo una ragazzina appena uscita dal liceo».

A cosa attribuisce il successo crescente di Rachmaninoff di cui lei esegue a Lugano le raffinate e celebri Variazioni su tema di Paganini? Quasi nessun critico torce più il naso alla sua musica.

«Nella musica classica c’è sempre stata diffidenza verso ciò che si crede suoni “facile”. Una cosa se non è difficile da capire, ha poco valore. Ma il tempo è un grande giudice e il problema di fondo con Rachmaninoff è non confondere sentimento con sentimentale».

In una recente intervista ha sottolineato che l’Italia è colma di grandi artisti che faticano però a farsi conoscere, perché?

«Manca un “ecosistema” musicale degno di questo nome: ci sono grandi società o teatri che vanno per la loro strada, ma manca quel connettivo che c’è in Germania o in Francia, dove ogni paesino ha la sua stagione e ci sono orchestre ovunque. Al sud d’Italia si vive dello sforzo del singolo che lotta contro tutto».

Per questo ha ideato un «suo» festival, Classiche...

«L’idea nasce dalla voglia di portare bellezza e cultura nella mia terra. Si svolge a Lecce e dintorni, dove la tragedia degli olivi trasformati in scheletri dalla xylella, è davanti a noi. Per questo ho voluto anche suonare su un pianoforte ricavato da legno di olivo recuperato, per non dimenticare il paesaggio ferito».