La nuova fase artistica del genietto Moby

Un vecchio adagio vuole che i primi segnali di bollitura di un artista corrispondano alla realizzazione di un album con l’orchestra con cui rileggere i vecchi pezzi. Seguiranno quello di duetti, quello con i rifacimenti senza orchestra, naturalmente il disco natalizio e quello di cover. Stando a questo postulato, quindi, Moby dovrebbe essere nel pieno della «fase 1»: Reprise, infatti, che esce per la prestigiosa Deutsche Grammophon, altro non è se non una «ripresa», appunto, di hit come l’immancabile Go, Extreme ways, Natural blues e Why does my heart feel so bad?, tutte eseguite dalla Budapest Art Orchestra. Ma, attenzione, è anche un disco di duetti (fase 2), perché tra i brani spuntano artisti eterogenei quanto possono esserlo il jazz soulman Gregory Porter, Jim James dei My Morning Jacket, il grande vecchio del country Kris Kristofferson, il trucido Mark Lanegan, senza rinunciare a Mindy Jones, cantante con cui l’artista collabora da tempo, nella rilettura di Heroes di David Bowie (quindi c’è anche una cover). Ma non è finita: l’album ci fa incontrare anche nomi meno noti, tutti da annotare: l’australiana Alice Skye, Amythyst Kiah, Apollo Jane, Darlingside, Luna Li, Nataly Dawn, Skylar Grey e il pianista islandese Vikingur Ólafsson.

Sicché il povero Moby è ormai bollito? Stremato dall’elettronica, butta via tutto e si affida agli archi – oltre all’orchestra c’è anche un quartetto – preferendo gli strumenti acustici? No, assolutamente. È un genietto, il discendente di Melville, e c’era da aspettarsi che approfittasse dell’occasione per trasformare il suo repertorio in un nuovo film per le orecchie (a proposito, c’è anche il nuovo film, quello vero: l’autobiografia surrealista – e surreale - Moby doc approdata sulle piattaforme digitali a fine maggio). Un progetto che inseguiva da qualche anno, da quel 2018 che vide Moby esibirsi alla Walt Disney Concert Hall con il direttore Gustavo Dudamel e la Los Angeles Philharmonic. Però i risultati non sempre sono all’altezza dell’idea: basta prendere la versione di Heroes, profonda e drammatica senza, però, un briciolo della potenza espressa dall’originale. Canzoni che hanno fatto ballare, rallentano e diventano elucubrazioni che confermano quello che ha dichiarato l’artista presentando il progetto, definito «Un’opportunità per riflettere sul modo in cui l’arte può evolversi e adattarsi nel tempo a seconda delle diverse scelte e dei contesti», ma in questo caso l’ammissione che, arrivati a una certa età, tutto sembra troppo veloce e occorre rallentare. In certi casi non è possibile: Go resta un brano veloce, con percussioni tribali e lo stesso groove anche se ai sintetizzatori si è sostituito un piano elettrico. Un disco per fan che, per una volta, preferiscono ascoltarlo restando seduti.