La poetica di Tullio Pericoli dal pennello alla scrittura

Non ricordo con esattezza la prima volta che ci siamo incontrati. Era certamente all’ «Espresso», di sicuro sono passati più di trent’anni da allora. Ma il Tullio Pericoli di quel tempo è nitido dentro la foschia delle memorie più lontane. Nitido come quello di oggi, nitido come i suoi pennelli e i suoi disegni. Gli occhiali, tondi, un sorriso curioso, un’attenzione leggera, eppure serissima e rigorosa. Uno sguardo che mi ha sempre incuriosito: come ti guarda Tullio Pericoli, come ti guardano più in generale gli artisti? Debbo a Tullio la prima illustrazione della copertina del mio primo libro. E un’amicizia, attenta, da sempre. Ho sempre saputo del suo sguardo e della sua consapevolezza di artista, ma quando gli artisti si mettono a raccontare, e a raccontare il loro lavoro, fai delle scoperte davvero affascinanti. Mi riferisco a un piccolo libro, che è un gioiello raro, che è un disegno bellissimo dei suoi: un libro che Pericoli ha appena pubblicato per Adelphi, e che si intitola: Arte a parte. Non è un libro di acquerelli, o di disegni, ma è un piccolo trattato sulla sua arte, sul suo sguardo, sulle domande che si fa un artista, su come osserva il mondo, e persino su come il mondo restituisce il suo sguardo. È la spiegazione per cui Pericoli da sempre è per me un signore nitido, dai colori sempre in equilibrio, eppure capaci di imprimersi nella mente. È il motivo per cui ho sempre trovato tutto quello che faceva sublime e perfetto: dai ritratti degli scrittori che mi hanno spiegato e raccontato assai di più di mille biografie o saggi critici su quegli autori, ai mondi che ha raccontato con i suoi pennelli, a quella capacità di entrare nelle cose senza appesantirle, senza sezionarle, senza avere la presunzione di volercele spiegare. Ma alla fine spiegandocele meglio di chiunque altro.

La somiglianza con Calvino
Se dovessi paragonare Pericoli a uno scrittore, non potrebbe che essere Italo Calvino. Entrambi hanno sempre vissuto sugli alberi, entrambi hanno lenti per guardare e capire il mondo incomparabili. Arte a parte mi ha svelato qualcosa di quelle lenti: «un ritratto riuscito non solo deve somigliare, ma deve essere qualcosa di più», scrive Pericoli: «Deve essere quella persona, quasi a sostituirsi a essa. Raccontarne la storia, e magari suggerirne la continuazione. Fare una faccia è semplice, fare un ritratto no».
Eccolo lo sguardo che ho sempre spiato. Quel suo modo di fissarti che mi ha sempre incuriosito: «i volti sono racconti che noi stessi scriviamo ogni giorno, pagina dopo pagina, sulla nostra pelle». Tullio Pericoli con questo libro svela finalmente una poetica, anche attraverso le parole, senza ricorrere al pennello. Eppure è come se dipingesse ugualmente. In un altro modo, con un altro occhio, in un’altra forma, fino a cercare i segni della punteggiatura in un quadro: «È molto difficile rintracciarli in una sola opera, però forse ci si può provare prendendo in considerazione il lavoro complessivo di un artista».
Un esclusivo spazio magico
Ma qual è la punteggiatura di Pericoli nelle sue opere? Dove la si può rintracciare? Come la utilizza? Sono periodi brevi o frasi lunghe? Usa molte relative, oppure ha un tratto hemingwaiano: secco, asciutto, risolutivo? Il bello, e forse questo è solo dell’arte e degli artisti, è che lui utilizza tutto. Perché le sue figure, i suoi disegni, i suoi quadri si muovono in uno spazio magico che soltanto lui conosce. Per cui è lungo, lento e al tempo stesso rapido, immediato. Capace di linee che non hanno bisogno di dimostrare nulla, e di colori che invece dialogano come un contrappunto attraverso le sfumature.

L’arte, la vita e le navi
Tullio Pericoli, come gli scrittori, come certi scrittori, si muove su piani sommersi. Fino ad arrivare a spiegare il fulcro del suo lavoro di anni. In un modo sorprendente. Paragonando l’arte, ma anche la vita, alle navi: «Che cosa dà vita alla nave, se non la parte sommersa? Da dove viene la spinta che la tiene a galla, se non da sott’acqua? Non è da lì che il motore la muove, il timone e la chiglia la dirigono?». E aggiunge, e questo vale per tutti noi: «ho immaginato che non solo le opere vere e proprie fossero navi, ma che lo fosse il mondo intero, per metà vivo e per metà morto, e che solo le sue parti nascoste fossero vive. E che solo la parte nascosta dei volti e dei ritratti, dei paesaggi e dei suoni, delle poesie e di tutti i quadri fosse quella viva».
Scoprire il sommerso
Questo nascondersi dell’arte, degli artisti, questa verità che rimane sotto: che la parte viva del mondo non possa che essere soprattutto quella che non vediamo, mi ha impressionato. Ci vogliono occhi diversi per scoprire il sommerso. In un mondo dove la visibilità, l’apparire, il mostrare è irrinunciabile, quest’idea ci spiega ancora meglio perché abbiamo tutti ormai la sensazione di vivere in un mondo tanto aperto quanto falso, non veritiero. Perché abbiamo sempre più bisogno di ritrovare la parte sommersa della nave del mondo. Attraverso occhi diversi. E questo, non c’è dubbio ce lo insegna Pericoli con un libro irrinunciabile, zeppo di frasi che andrebbero sottolineate e ricordate. Come questa, che parla di autenticità e di cuore. Quel cuore che mette ogni volta che prende in mano un pennello.
«L’autenticità è la linfa vitale dell’arte, e contiene sempre, anche se minima, un po’ di verità», scrive Pericoli. « Una “verità nuova” che si immagina nasca con l’atto creativo, che può rivelarsi anche nel dipingere semplicemente una nuvola, un prato, una collina. Quando lavora a un’opera un artista vuole arrivare a esserne soddisfatto, se gli risce, e desidera che quell’opera alla fine gli piaccia, che piaccia al suo cervello. E, se possibile, anche ad altri cervelli. Mi viene in mente una frase di Osvaldo Soriano, riemersa dalle mie letture dimenticate: “Si scrive per abitare nel cuore della gente migliore”. La stessa cosa avviene a chi dipinge».