La Scala ritrova la sua prima

Anche quest’anno l’ora dell’inaugurazione del Teatro alla Scala è arrivata. Da settant’anni, almeno da quando il maestro Victor de Sabata decise di sposare la data della prima della Scala dalla sera di Santo Stefano (26 dicembre) a quella del patrono di Milano, Sant’Ambrogio, il 7 dicembre è sempre l’evento operistico più seguito nel mondo, tanto da togliere il sonno ai protagonisti e a lasciare l’amaro in bocca a quanti ne sono rimasti esclusi. Si tratta di un rito di società messo a dura prova, quasi in discussione, dalla tempesta della pandemia, che ha però ritrovato la sua tradizionale serata con l’esecuzione del Macbeth di Giuseppe Verdi, il primo incontro fra il compositore romantico e il teatro dell’autore più amato, il Bardo Shakespeare. L’evento mediatico eccita da sempre la frenesia dei presenzialisti. Sono tornati i rosei addobbi floreali rigorosamente sponsorizzati, le starlette e i sirenetti in posa nei ridotti per foto ricordo e selfie, il corteggio disordinato del sottobosco politico, per fortuna anche le insistite ovazioni al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, con richieste di “bis” per un suo secondo mandato al Quirinale, concluse dalla tradizionale esecuzione dell’inno nazionale italiano di Mameli e Novaro. Era come se l’incubo COVID vissuto in questi anni non fosse avvenuto. Certo, l’aria generale che tirava attorno alla Scala ha mutato qualche abitudine: causa distanziamenti, niente cene per happy few, ma proiezioni gratuite diffuse e in siti periferici, nelle carceri e nei centri sociali, allargamenti verso un pubblico non tradizionale che sono divenuti un atteso appuntamento.
Il gruppo di artisti prescelti per quest’appuntamento prestigioso formano una squadra esperta e collaudata guidata dal direttore d’orchestra Riccardo Chailly, giunto alla sua ottava “inaugurazione” e dal regista Davide Livermore, al suo quarto Sant’Ambrogio consecutivo. Il suo spettacolo lascia l’anno Mille di Shakespeare e si proietta nel futuro (o presente) distopico: Macbeth e Banquo viaggiano in auto verso l’incontro con le streghe, che altro non sono che bluastre impiegate e mimi psicotici, niente magia oracolare nell’atmosfera. Sono tutti personaggi riconoscibili nel nostro immaginario e devono sembrare attori perché le telecamere della ripresa televisiva a volte sono impietose nello svelare il primo gesto abbozzato o involontariamente buffo. Le scene ispirate ai disegni di uno dei protagonisti del razionalismo a Milano, l’architetto Piero Portaluppi sembrano più appartenere alla Capitol City di Hunger Games. Livermore vuole raggiungere gli ascoltatori contemporanei e si ispira «al film Inception di Christopher Nolan, un thriller fantascientifico del 2010, con le sue scatole cinesi di sogni condivisi, incubi comunicanti posti uno dentro l’altro.» Un mondo visto attraverso la mente del tiranno Macbeth, rappresentazione di «una società contemporanea, distorta a vantaggio del prodotto, attraverso una manipolazione degli spazi e della gravità, che si manifesta in skyline rovesciate e distorsioni prospettiche: effetti-incubo che ci aiutano a raccontare.» Le impressioni a pochi minuti dalla conclusione dello spettacolo confermano il successo complessivo dello spettacolo (con qualche distinguo per il regista Livermore giunto dal loggiane), guidato da Riccardo Chailly, che si conferma amante sincero del melodramma verdiano e del suo primo capolavoro shakespeariano. Direttore e tutta la solida compagnia di canto hanno ricevuto meritate ovazioni: il baritono Luca Salsi ha cantato la parte di Macbeth con onnicomprensiva generosità; la diva Anna Netrebko si conferma un talismano per l’esito felice della serata, il basso Ildar Abdrazakov è sempre un virile e scolpito Banquo; Francesco Meli uno sperimentato e vigoroso Macduff; Ivan Ayon Rivas un già scalpitante Malcolm; Chiara Isotton un gran Dama della Lady. Non va dimenticato l’apporto del Coro della Scala: il testimone è passato dalle mani di Bruno Casoni a quelle di Alberto Malazzi nel segno della continuità: il non dimenticato predecessore, Casoni, guida ancora le voci bianche ed ha curato la preparazione dei bambini che interpretavano le parti delle apparizioni.