Arte

La scoperta di un capolavoro, il ritrovato «Polittico Griffoni»

Una delle opere più amate e complesse della cultura rinascimentale italiana torna visibile nella sua interezza grazie al lavoro del professor Mauro Natale, emerito dell’Università di Ginevra, che ne parlerà domani a Lugano
Laura Damiani Cabrini
07.10.2020 06:00

Anche il mondo dell’arte sta lentamente lasciando alle spalle uno dei periodi più particolari della propria storia, quando si è fatta strada un’inedita categoria espositiva, costituita da mostre già perfettamente allestite e installate in spazi preposti per contenerle ma che per ragioni di forza maggiore sono rimaste deserte già alla vigilia della loro apertura e prive della possibilità di fruizione da parte del pubblico. Esposizioni talvolta molto attese, approntate grazie a notevoli sforzi organizzativi, finanziari e diplomatici da parte degli organizzatori, come quella centrata sulla ricomposizione di un’opera assente da Bologna da Trecento anni: il cosiddetto Politico Griffoni. All’indomani dell’inaugurazione, il 12 marzo scorso, l’esposizione allestita negli spazi di Palazzo Fava a Bologna ha avuto per due mesi, come unici e laconici spettatori, le figure di Giasone e Medea, protagoniste delle storie affrescate da Ludovico, Annibale e Agostino Carracci nel fregio del salone d’onore del palazzo, portato a compimento dai tre sodali nel 1584. Il successivo 18 maggio si sono però finalmente potute svelare agli occhi degli spettatori le sale completamente immerse nell’oscurità in cui sono presenti fino al 10 gennaio 2021 le 16 tavole che componevano in origine uno dei gioielli più importanti della cultura artistica rinascimentale bolognese, incastonate come pietre preziose in un diadema smembrato e finalmente ricomposto.

Ecco allora magicamente rivivere, nelle tavole superstiti del polittico e nella ricomposizione virtuale dell’insieme, uno dei complessi più affascinanti e amati della cultura rinascimentale italiana: la superba pala d’altare dedicata a San Vincenzo Ferrer, concepita tra il 1470 e il 1472 per la cappella di famiglia di Floriano Griffoni, all’interno della Basilica di S. Petronio a Bologna, dal pittore ferrarese Francesco del Cossa (1436 - 1478), affiancato del più giovane Ercole de’ Roberti (1451-1456 - 1496). Attorno al 1725 il nuovo proprietario della cappella, Monsignor Pompeo Aldrovandi, fece smantellare la pala e destinò le singole porzioni figurate alla sua residenza di campagna nei pressi di Ferrara. Nell’Ottocento i dipinti entrarono poi nel giro del mercato antiquario e del collezionismo, prima di approdare in nove distinti musei, americani e europei.

L’opportunità di riunire tutti gli elementi fino ad oggi noti della grande macchina d’altare che la famiglia Griffoni fece innalzare costituisce dunque un evento eccezionale e probabilmente irrepetibile: tanto per la delicatezza e preziosità del materiale, tanto per la qualità delle opere, molte delle quali sono uscite per la prima volta dai musei che abitualmente le conservano. L’evento è maturato all’università di Ginevra, curato da Mauro Natale (professore emerito della facoltà di Storia dell’arte) - già patrocinatore di esposizioni epocali sull’arte ferrarese del Quattrocento - e dalla sua ex-allieva Cecilia Cavalca, autrice di una fondamentale monografia dedicata alla cultura artistica bolognese del Rinascimento.

Ispirati da Longhi

Ha però nello storico dell’arte Roberto Longhi un terzo silente narratore. Fu infatti lui a ipotizzare in due scritti del 1934 e 1940, inseriti in Officina ferrarese, la ricomposizione del polittico e l’attribuzione delle singole parti, utilizzando parole di sconcertante modernità. Ben impresse nella memoria di ogni storico dell’arte, le tavole di accompagnamento del testo longhiano mostrano un insieme che si discosta di poco da quello proposto nell’attuale ricostruzione, arricchita dal ritrovamento di uno scritto redatto al momento della rimozione dell’altare, che mostra lo schizzo della carpenteria originale, commissionata nel 1473 al maestro d’ascia Agostino de Marchi da Crema. Lo stile di Francesco del Cossa e Ercole de’ Roberti si sviluppò in quell’humus artistico ferrarese, fantasioso ed eccentrico, dell’età di Borso d’Este, «che declina - per usare le parole di Longhi - le novità rinascimentali entro un naturalismo di matrice ancora tardogotica e al quale si attaglia la definizione [...] di Rinascimento umbratile». Muovendosi tra Mantegna e la pittura fiamminga, Francesco del Cossa compie un itinerario che lo porterà in Toscana, alla scoperta della «pittura di luce» di Andrea del Castagno e di Domenico Veneziano, concretizzando il suo apporto al polittico Griffoni attraverso un modellato morbido e plastico, inserito in un contesto rigidamente piegato alle leggi della prospettiva. Il suo marcato naturalismo si coglie soprattutto nei santi Floriano e Lucia, che vestono le spoglie dei committenti e sbalzano sul fondale ancora dorato, «bucando» lo spazio reale nell’atto di genuflettersi. Quanto alla figura di Ercole de’ Roberti, che affiancherà il più anziano maestro nella realizzazione della predella e dei santi laterali, si scorge il tentativo di lasciarsi alle spalle la fantasia inventiva di cui egli stesso aveva fatto sfoggio sulle pareti del «casino di delizia» ferrarese di Schifanoia, nella ricerca di una scansione narrativa più pacata. Negli affreschi perduti della Cappella Garganelli in San Pietro, sempre a Bologna, e nelle successive pale d’altare, Ercole si sarebbe infatti fatto portavoce di una misura già pienamente rinascimentale, che l’avrebbe messo - e sono ancora parole di Longhi - sullo stesso piano «dei maggiori coetanei Leonardo e Botticelli, o di anziani, come Melozzo e Mantegna». Purtroppo di quelle pitture sopravvive un unico frammento che lascia solo intuire l’importanza dell’insieme; viceversa, il Polittico destinato all’oligarca Bolognese Griffoni radunato a Palazzo Fava, dopo Trecento anni può essere finalmente, nuovamente visibile.