Calcio e televisione

L’allenatore gentiluomo che odiava Maradona ma amava Gascoigne

Ricco di emozioni il documentario di Netflix dedicato a Bobby Robson, la leggenda del calcio inglese scomparsa nel 2009 - Il mister ha vinto ovunque, e si è fatto adorare da tutti
© justwatch.com
Alan Del Don
17.04.2020 18:03

Un allenatore gentiluomo. In grado di farsi amare sia dai propri giocatori sia da quelli avversari. E naturalmente dai tifosi. Bobby Robson era così, dice chi ha conosciuto una delle leggende del calcio inglese scomparsa nel 2009. Prima da giocatore e poi da allenatore. Nel documentario di Netflix «Bobby Robson: more than a manager» si ripercorre la sua carriera a bordo campo, in panchina. Iniziata non benissimo nella sua ex squadra, il Fulham; poi proseguita nell’Ipswich Town con il quale vinse l’FA Cup; in seguito è stato al timone della Nazionale (ha guidato i «Tre leoni» al Mondiale del 1990); e infine proseguita con successo all’estero e conclusa nel 2004 al Newcastle di cui è diventato cittadino onorario. A dimostrazione di quanto abbiamo detto all’inizio: Sir Robert William era benvoluto da tutti.

Persino da José Mourinho. L’allenatore portoghese ha avuto con Bobby Robson un legame speciale, sulla falsariga di quello fra padre e figlio. Lo «Special One», infatti, è stato al fianco del mister inglese in ben tre sue avventure: allo Sporting Lisbona (quale interprete ed assistente), al Porto (come vice) ed al Barcellona. L’esperienza in queste due ultime metropoli sono state coronate da grandi successi. E da un acquisto destinato a segnare la storia del calcio per sempre. I blaugrana nel 1996 rilevarono infatti Ronaldo, il brasiliano, dagli olandesi del PSV, diretti fino a quattro anni prima proprio da Sir Bobby. Il quale è stato un autentico giramondo e scopritore di talenti, come vedremo in seguito. Ma chi ha la passione per il calcio, ha ricordato lui stesso nel documentario, non riesce a stare con le mani in mano.

Gli anni più intensi per le emozioni vissute ma altresì dolorosi per le critiche ricevute dai tabloid sono stati senza dubbi quelli trascorsi al timone della Nazionale inglese, dal 1982 al 1990. La sua prima scelta fece subito scalpore in Patria: escluse dalla rosa nientemeno che Kevin Keegan. È un po’ come se oggi l’Argentina non facesse giocare Messi o il Portogallo mandasse in tribuna Cristiano Ronaldo. Nonostante una serie di successi impressionante non riuscì a qualificare i «Tre Leoni» per gli Europei del 1984, dopo essere uscito sconfitto dalla sfida decisiva con la Danimarca, un match dominato dal primo all’ultimo minuto, ma stregato. Ai Mondiali del 1986, in Messico, gli occhi di Sir Bobby si alzarono verso il cielo in due occasioni. La prima, con lo stupore di un bambino al quale rubano il lecca lecca, per la «mano di Dio» di Diego Armando Maradona. E, subito dopo, per il poetico, memorabile, indescrivibile zigzagare del miglior giocatore al mondo che fece sciogliere come neve al sole la difesa di Sua Maestà la Regina. Robson non la prese benissimo, e non perdonò mai il Pibe de oro per quel gesto: «È stato un mascalzone». L’umiliazione per il fallimento dell’Europeo 1988 si trasformò in un osanna dietro l’altro per lo straordinario cammino ai Mondiali di Italia 90.

Quell’Inghilterra, e Bobby Robson, regalarono al pianeta intero due giocatori che proprio nell’appuntamento iridato si consacrarono definitivamente: Gary Lineker (già capocannoniere in Messico quattro anni prima, si confermò infilando in fondo al sacco altri quattro palloni) e Paul Gascoigne, allora appena 23.enne, che fuggiva la sera dal ritiro per andare ad ubriacarsi nei bar sulla spiaggia. Le due stelle trascinarono la Nazionale sino alla semifinale, persa ai rigori contro la Germania Ovest. Nel documentario Sir Bobby ricorda in particolare l’esplosione di «Gazza», genio e sregolatezza, e poi la sua discesa agli inferi divorato dall’alcol e dalla depressione. Robson era innamorato di Gascoigne, lo vedeva come un figlio, come ha ricordato quest’ultimo nel film di Netflix. I due sono rimasti in contatto anche negli anni seguenti.

Il licenziamento al Newcastle nel 2004 segnò in pratica la fine della carriera da allenatore di Bobby Robson, fatta eccezione per una breve parentesi quale consulente tecnico della Nazionale irlandese. Divenne opinionista e, in seguito, dovette affrontare la partita più importante della vita: quella contro il cancro. L’ennesimo tumore. Ne è purtroppo uscito sconfitto il 31 luglio 2009, a 76 anni. Tutto il Regno Unito pianse questo grande uomo. Amato da tutti. Ancora oggi. Come si deve a una leggenda.