L’anno nuovo? Tanto vale fargli buona accoglienza

Gavroche, pseudonimo di Vittore Frigerio, milanese di nascita e direttore di lungo corso del «Corriere del Ticino», nell’edizione del 30 dicembre del 1933, nella sua rubrica «La nota», scrisse del nuovo anno che era in procinto di arrivare con queste parole: «Domani sera si licenzia il 1933 e si riceve, ufficialmente e solennemente, il 1934. Se fosse possibile fare una piccola perquisizione preventiva all’Anno nuovo, per assicurarsi che non porta indosso disgrazie, melanconie, jettature, catastrofi, malanni, crisi, ecc. ecc., lo faremmo volontieri se, si intende, fosse poi possibile rimandare indietro l’anno nuovo ed accontentarsi ancora di quello vecchio, come fanno certi signori e certe signore che conservano uno stesso anno per due, tre e più anni». E quindi, a seguire: «Tutti questi anni nuovi si assomigliano in misura esasperante; arrivano freschi, giulivi, pieni di promesse ridenti; si fanno accogliere a braccia aperte ed a furia di brindisi di champagne o di Asti spumante; poi, dopo qualche ora, incominciano ad aprire la saccoccia delle disgrazie ed allora, si salvi chi può!». Colui che diresse il «Corriere del Ticino» dal 1912 al 1957 in quella sua rubrica si chiese anche «come sarà l’anno nuovo?». Ebbene: «Che domanda inutile! Sarà come il vecchio, con questo che peserà un po’ di più sulle spalle». E poi: «Come lo dobbiamo accogliere? Bene, s’intende; dal momento che non possiamo metterlo alla porta, rimandarlo a casa sua, tanto vale fargli buona accoglienza».
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