L’arte elvetica nella Ville Lumière

Dal mese di gennaio, Claire Hoffmann è la nuova curatrice responsabile della programmazione d’arte contemporanea al Centro Culturale Svizzero di Parigi, una delle tante prestigiose antenne estere gestite da Pro Helvetia. Hoffmann, nata a Basilea nel 1985, affiancherà il nuovo direttore Jean-Marc Diébold, con il compito di presentare giovani artisti svizzeri in un ambito internazionale spiccatamente competitivo.
Claire Hoffmann, nel mondo dell’arte contemporanea è sempre più difficile profilarsi come un’istituzione particolare. In questo contesto, qual è la missione del CCS di Parigi?
«In collaborazione con Pro Helvetia a Zurigo, il CCS presenta la pratica dell’arte contemporanea in provenienza dalla Svizzera, cercando di dare una piattaforma stabile agli artisti per migliorare le loro produzioni e la loro visibilità. Vogliamo inoltre creare dei legami con le strutture parigine già esistenti, ma anche con le istituzioni francesi e internazionali. Il nostro è un programma che tocca varie discipline e che combina tutte le forme di espressioni artistiche, e non si limita a un campo particolare».
Il neo direttore Jean-Marc Diébold ha affermato che la sua programmazione sarà incentrata soprattutto su danza e teatro. Lei invece sarà responsabile delle arti visive. Cosa ci può dire del suo programma?
«Fin ora ho già programmato cinque grandi progetti fino al mese di luglio. Vorrò dare al pubblico l’opportunità di conoscere giovani artisti che sono già noti in Svizzera, ma forse meno all’estero, come è il caso con le due mostre che inauguriamo oggi, due febbraio. La prima presenta il lavoro di Pedro Wirz, svizzero-brasiliano, che per noi ha creato una grande installazione con sculture che combinano elementi naturali, terra, rami, foglie e anche rifiuti. Questa mostra sarà anche presentata più tardi alla Kunsthaus a Langenthal. In parallelo, l’artista Lauren Huret presenta la sua ricerca incentrata sulla violenza di alcune immagini dei social media, concentrandosi sul ruolo di quelle persone responsabili di filtrare il contenuto di piattaforme come Facebook o Instagram. La mia linea curatoriale sarà anche incentrata sulla questione del femminismo, in particolare con la riscoperta di alcune artiste quasi dimenticate, come Doris Stauffer (1934–2017), figura importante e pionieristica che avrà qui la sua prima esposizione istituzionale, nel mese di marzo. Presenterò alcuni incontri interdisciplinari legati a questi temi. Un progetto in questo senso sarà quello del mese di marzo, “Seeds & Soil”, dedicato all’urgenza ecologica. Ci sarà anche un convegno sul femminismo dal titolo “Tremate, Tremate”, nel mese di aprile».
Nel corso della sua carriera, quali sono i progetti che hanno avuto maggiore impatto e che rappresentano la sua visione di curatrice?
«Ho lavorato per istituzioni come lo Schaulager a Basilea, la Kunsthaus a Zurigo e a Langenthal ma sono anche stata attiva nel collettivo “deuxpiece” che cura progetti con giovani artisti in Svizzera e che non ha un vero e proprio quartiere generale, bensì presenta un approccio che amo definire nomade. Questi due aspetti mi hanno sempre permesso di avere una visione molto ampia dell’arte. Lo spirito di cooperazione, sia nel contesto di grandi istituzioni, sia con progetti più indipendenti, è importante per la mia pratica. Mi interesso anche alla tematica dell’ecologia e dell’impatto che l’uomo ha avuto ed avrà sul nostro ambiente. Conosciamo i fatti e i numeri, ma è spesso grazie ad una visione artistica che questi elementi rivestono ancora più vigore. Recentemente, a Copenaghen, ho organizzato con un team di curatori svizzero-danesi la mostra “Ex Situ. Samples of Lifeforms”, incentrata sul cambiamento delle condizioni di varie forme di vita sul pianeta terra. Sono anche storica dell’arte, in questo momento sto completando la mia tesi di dottorato dedicata all’artista austriaca Maria Lassnig, e mi interesso da sempre al dialogo fra passato e presente, ciò che sarà anche fra i principi essenziali della mia programmazione a Parigi».
Qual è la sua relazione con la Svizzera? E cosa caratterizza la scena svizzera secondo lei?
«In Svizzera, ho studiato e ho fatto le mie prime esperienze importanti. Ma ho anche vissuto in Italia, in Austria, negli Stati Uniti. Grazie alle mie precedenti esperienze, dispongo di una rete di conoscenze che mi permette di avere un’ottima idea della scena elvetica. Sono cresciuta in una famiglia bilingue, ed oggi sono molto felice di stabilirmi in Francia, che diventerà la mia seconda casa, e di costruire giorno dopo giorno questo nuovo progetto a Parigi. La Svizzera è molto interessante, c’è una vera e propria dimensione internazionale nel nostro Paese che si riflette anche sulla creazione artistica. Inoltre, ci sono ottime scuole d’arte, che attirano giovani studenti da tutto il mondo. A Parigi, cercheremo di sfruttare questi elementi, non solo con le mostre e i progetti paralleli, ma anche per promuovere nuove collaborazioni».