Cultura

L’arte nel limbo della pandemia: «Si è fermato di nuovo tutto»

Chiuse dal 18 gennaio per ordine del Consiglio federale, le gallerie ripensano la loro attività - Sospese le mostre e cancellati gli eventi, molte case puntano sulle visite virtuali in 3D - Gli operatori: «Non basta, manca il momento della condivisione e del confronto con il pubblico»
Tiziano Dabbeni nello studio di corso Pestalozzi a Lugano. ©CDT / CHIARA ZOCCHETTI
Francesco Pellegrinelli
02.02.2021 06:00

«Per ritiri e consegne p.f. telefonare», recita il cartello all’entrata. Come qualsiasi altro negozio, anche le gallerie d’arte non possono accogliere i clienti all’interno, neppure per uno scambio di idee. Rimane il «click and collect». Il take away dell’arte. Passa e ritira la tua opera d’arte. Fa sorridere. Ma in realtà c’è poco da stare allegri in questi mesi di stop.

Come nel gioco dell’oca

Quando lunedì 18 gennaio Guido e Daniela Giudici hanno chiuso la porta della loro galleria in via Grütli 1, si sono resi conto che sarebbe iniziato un periodo nuovo. «Prima lasciavamo l’ingresso aperto e accoglievamo le persone su appuntamento. Adesso l’attività espositiva è completamente ferma». Titolare da trent’anni con la moglie Daniela dello spazio espositivo Consarc di Chiasso, Guido Giudici non nasconde le difficoltà del momento. Come nel gioco dell’oca, si torna all’inizio, alla situazione del primo lockdown. Gli interrogativi però si accumulano. Specie quelli sulla programmazione delle mostre. «Tutta la tempistica è scombussolata», prosegue il titolare. «Abbiamo appena finito una mostra di una fotografa ticinese - Stefania Beretta- che a maggio avevamo dovuto posticipare. Adesso eravamo in contatto con un altro autore ticinese. Ma lui ci tiene alla vernice in presenza che considera come una festa. E quindi, non potendo fornire garanzie, con ogni probabilità salterà tutto». Ecco due elementi centrali di questa storia. L’incertezza che impedisce di programmare l’attività espositiva (che è anche un’attività commerciale di vendita) e l’impossibilità di condividere l’arte nella sua dimensione sociale: dall’inaugurazione delle mostre, alle visite guidate, ai momenti di incontro e di riflessione con il pubblico.

Visite a distanza in 3D

Tempi duri per la lirica - verrebbe da dire - che però trova nuovi spunti nella tecnologia e trae ispirazione dallo stop forzato. «Come altre gallerie abbiamo implementato la tecnologia 3D per la visita a distanza degli spazi espositivi. Ci siamo mossi dopo il primo lockdown. E per la mostra di Stefania Beretta eravamo pronti ad offrire il servizio sul nostro sito. Ma non è la stessa cosa. Né per il collezionista né per il visitatore occasionale». Durante il periodo di dicembre e gennaio, ci confida ancora Guido Giudici, la galleria ha cercato di spingere maggiormente gli artisti di scuderia attraverso i canali social. «Senza tuttavia ottenere grandi risultati». Insomma, il rischio che si fermi tutto ancora per diversi mesi è presente, in particolare in questo momento di difficoltà e di incertezze economiche. «La disponibilità della gente per questo genere di bene è molto bassa».

Come altre gallerie abbiamo implementato la tecnologia 3D per la visita a distanza

Senza il motore delle fiere

Come altri settori, anche l’arte ha una sua filiera. «Non essendoci più i grandi eventi come le fiere si è fermato tutto. È un momento di sospensione». A proiettarci in una dimensione internazionale è Tiziano Dabbeni dell’omonima galleria luganese. Altra presenza storica dell’arte ticinese, lo studio Dabbeni - infissi bianchi, bello anche solo da vedere mentre si passeggia lungo corso Pestalozzi - da 40 anni promuove l’arte sostenendo artisti nazionali e internazionali, alcuni d’origine ticinese, come Miele Tornoni, Felice Varini, Gianfredo Camesi, Flavio Paolucci. Ma anche David Tremlett e Daniel Buren. Una galleria che si è insediata a Lugano agli inizi degli anni ‘80, in un momento di grandi trasformazioni, cerniera tra la prima epoca d’oro delle gallerie ticinesi e il nuovo corso, oggi a sua volta tradizione e punto di riferimento del panorama ticinese. «Gallerie come la nostra che da una parte sono attività commerciali di vendita ma nello stesso tempo sono anche delle piccole attività culturali (fino a qualche anno fa la Dabbeni pubblicava anche una rivista, ndr) - oggi si trovano a dover fare i conti con un processo di globalizzazione dell’arte così estremo cha ha finito per tagliarci fuori». Tiziano Dabbeni fa l’esempio di Art Basel, di come la più importante fiera svizzera dell’arte negli ultimi dieci anni abbia assunto una dimensione così globale da diventare inavvicinabile per le piccole e medie gallerie che avevano costruito proprio su questo evento una certa posizione europea. «Abbiamo fatto 30 anni di Art Basel. Una settimana di fiera rappresentava una vetrina internazionale imprescindibile per condurre l’attività anche da un piccolo centro urbano periferico come Lugano. Ancorché terza piazza finanziaria svizzera, nell’ultimo decennio Lugano ha perso terreno. Poi l’asticella della concorrenza internazionale è salita in maniera così vertiginosa che gli organizzatori di Art Basel ci hanno messo in stand by». Vani i tentativi di rientrare nel circuito della fiera i cui costi di partecipazione erano per altro esplosi. «Le ultime edizioni ci costavano quasi come un anno di affitto a Lugano».

Tra parabole e incertezze

In questa parabola discendente si inserisce la crisi causata dalla pandemia. Nodo centrale: la programmazione. Tiziano Dabbeni ci fa il suo esempio. A marzo 2020 era prevista la mostra di Gianni Monnet. A causa del primo lockdown, l’evento è stato annullato e posticipato a fine settembre, quando la situazione epidemiologica ha imposto un nuovo rinvio. Ad ottobre finalmente si è aperto un varco. La mostra (senza inaugurazione) è stata quindi aperta, ma tempo due settimane e la situazione sanitaria è precipitata. A nord e a sud. Ciò che ha compromesso ogni legame con i collezionisti. «Del resto, il problema che abbiamo noi, lo hanno anche a Londra o in Germania».

La globalizzazione estrema dell’arte ha finito per tagliare fuori anche noi

«Gli aiuti per l’anima»

Ufficialmente chiuse per ordine federale dal 18 gennaio, le gallerie d’arte - equiparate ai negozi - hanno diritto agli aiuti federali, non da ultimo per i casi di rigore. «Farete richiesta al Cantone?», chiediamo a Guido Giudici. «È chiaro che abbiamo dei costi fissi, come l’affitto, ma stiamo valutando se sia effettivamente il caso». Sulla falsariga la risposta di Tiziano Dabbeni. «Più che gli aiuti, dovremo rivedere l’organizzazione del lavoro, potenziando i contatti a distanza con i collezionisti, anche se non è semplice». Le prospettive insomma non sono rosee. «Nel 2020 abbiamo dovuto annullare tutto: mostre, incontri, conferenze, visite agli artisti e fiere. Ora si prospetta un altro anno difficile, senza quella linfa che sono gli incontri e la condivisione, il vero aiuto spirituale per l’anima».

«Un tempo la mostra era un evento culturale aderente alla società»

Se si vende è arte, diceva non senza un filo di ironia l’architetto Frank Lloyd, facendo ambiguamente intendere il primato della vendita sul valore artistico dell’oggetto. Vecchia storia che vale ancora oggi a guardare il listino di certe case d’asta. In Ticino la prima galleria risale alla metà degli anni ‘50. Ad Ascona su iniziativa di una coraggiosa e giovanissima Gisèle Réal apre la Cittadella. «Sono anni di grande fermento culturale», ci spiega Simone Soldini direttore del Museo d’arte di Mendrisio. «Milano esce dalla guerra e propone alcune mostre come quella di Picasso del ‘53. L’eco e l’interesse per l’arte moderna arrivano fino in Ticino dove in quegli anni iniziano a prendere piede le prime gallerie». Dalla Negromante diretta da Virgilio Gilardoni, alla Nord-Sud di Lugano o ancora la Mosaico di Gino Macconi a Chiasso o la Matasci di Tenero, vero punto di snodo e di approdo ticinese del filone Lombardo, quando ancora il Ticino dialogava con Milano, con le sue prestigiose gallerie del Milione, le Ore e la Bergamini. E il pubblico rispondeva nell’interesse di uno scambio culturale intenso, ripercorso qualche anno fa nel catalogo della bella mostra «Natura e uomo, la collezione Bolzani» del Museo d’arte di Mendrisio.

Le gallerie ieri e oggi

Strane cose le gallerie. A volte un po’ elitarie e spesso economicamente inavvicinabili. Ma non è sempre stato così. Ancora Simone Soldini: «Le gallerie negli anni 60-70 sono state una chiara espressione culturale del momento. La mostra veniva vissuta come un evento culturale, molto più aderente ai bisogni della società di quanto non lo sia oggi. La galleria è stata anche una forma di educazione verso un’estetica nuova». Esempi positivi di gallerie con una reale impronta e progettualittà culturale ci sono ancora, prosegue Soldini. Accanto però se ne sono aggiunte di nuove che lavorano con finalità e intenti puramente economici e commerciali. Vere e proprie «industrie della cultura» (l’espressione è di Giorgio Orelli che già negli anni ‘80 non fu tenero verso alcune iniziative) che fanno del commercio dell’arte un vero e proprio business, un investimento al pari di altri mercati finanziari.