«Lavoriamo a un nuovo sguardo sulle stragi dei nazisti in Italia»

Dalla scorsa primavera è attivo sul web il sito ns-taeter-italien.org. È dedicato alle stragi commesse dai tedeschi in Italia fra il 1943 e il 1945. In particolare, propone ritratti dei soldati che le hanno commesse, la storia dei loro reparti militari e ricorda i massacri che hanno compiuto. Affrontiamo il tema con Carlo Gentile, storico e coordinatore del progetto di ricerca grazie al quale è nato il sito.
Professor Gentile, perché si è voluto creare ns-taeter-italien.org, nel cui nome «NS» è l’abbreviazione di nazisti e che riporta la parola tedesca «Täter», ossia perpetratori, esecutori?
«Si tratta di uno dei numerosi progetti voluti per onorare la memoria delle vittime delle stragi di civili e partigiani commesse in Italia nell’ultima parte della Seconda guerra mondiale. Il sito si rivolge a studiosi, studenti universitari e a tutti coloro che vogliano approfondire il tema, grazie anche a nuovi materiali che abbiamo trovato negli archivi, ai diari personali e lettere dei perpetratori, al materiale fotografico che è stato raccolto e catalogato. Grazie ai profili personali dei soldati che abbiamo ricostruito, alle schede sui reparti di appartenenza, alle ricostruzioni dei massacri e alle fotografie pubblicate nel sito, che sarà aggiornato e ampliato con il progredire delle ricerche, intendiamo far conoscere ancora meglio ogni aspetto che sta dietro alle stragi e pure la complessità di quel tragico periodo».


Qualcuno, a quasi ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, potrebbe chiedersi se abbia un senso proseguire ancora oggi, per così dire, la caccia ai soldati nazisti che hanno ordinato e commesso le stragi su territorio italiano fra il 1943 e il ’45.
«Prima di tutto, non scordiamoci che fino a 70.000 persone – adulti, giovani, donne e bambini – sono state vittime dirette o indirette dell’occupazione tedesca dell’Italia, avvenuta in seguito all’armistizio firmato da parte italiana con gli Alleati l’8 settembre del ’43. Di queste oltre 10.000 sono state uccise in massacri ed esecuzioni di massa dalle truppe tedesche, che dopo la sconfitta hanno lasciato la Penisola. Di conseguenza, i sopravvissuti, i loro famigliari e discendenti per decenni non hanno saputo chi fossero, tranne poche eccezioni, i responsabili e i perpetratori delle stragi. Anche perché dopo la guerra è stato praticamente impossibile ottenere dalla Germania informazioni affidabili sul loro conto. Il nostro lavoro di ricerca e i risultati che ne sono scaturiti e scaturiranno in futuro contribuiscono quindi a portare alla luce a far conoscere al pubblico mentalità e disposizioni psicologiche dei perpetratori, le loro origini famigliari e sociali, perché ritenevano che le loro azioni fossero comunque legittime nel contesto dell’occupazione militare dell’Italia. Abbiamo rotto un silenzio sugli autori delle stragi commesse in Italia che in Germania durava appunto da decenni, con il progetto che ha portato alla creazione del sito ns-taeter-italien.org, del quale sono il direttore scientifico e il cui co-coordinatore è Udo Gümpel, corrispondente dall’Italia della catena televisiva tedesca RTL e autore di servizi sui massacri commessi nella Penisola da Wehrmacht e SS».

Ci spieghi il perché di questo silenzio.
«Concluso il conflitto, gli ex combattenti hanno ritrovato il loro posto nella società tedesca a ogni livello, familiare, comunitario, lavorativo, politico e negli apparati dello Stato, compreso quello dell’insegnamento. Una società, come pure quella austriaca, che a lungo ha continuato a essere pervasa dai valori inculcati dal nazismo, come dal mito della “guerra pulita”. Ecco perché anche le stragi commesse in Italia sono rimaste in una sorta di limbo, assenti dal discorso pubblico come assenti lo sono state le efferatezze commesse sui vari fronti dalle truppe del Terzo Reich. Il Sessantotto aveva in parte scalfito questo stato delle cose. È però a partire dagli anni Ottanta-Novanta dell’ultimo secolo che è iniziata la svolta, si è incominciato a rendersi conto di quella che era stata una responsabilità collettiva e che da parte della società tedesca vi era un grande disagio nel riconoscere che il conflitto – in Unione Sovietica e altre nazioni dell’Est, in Grecia, nei Balcani, in Italia – da parte della Wehrmacht e delle SS era stato di fatto una guerra di annientamento».


La svolta degli anni Ottanta-Novanta di cui ha detto è avvenuta con l’affacciarsi nella società tedesca di nuove generazioni?
«È così. Si è incominciato a prendere veramente coscienza dei crimini commessi dalle truppe del Terzo Reich con la morte e soprattutto l’uscita di scena dalla società, intesa sotto ogni suo aspetto, a iniziare dal mondo del lavoro, di coloro che appartenevano alla generazione degli ex combattenti. E venendo a mancare il substrato che per decenni ha contribuito a mantenere vivo il mito della “guerra pulita” e conseguentemente a a far sì che si stendesse un velo di silenzio sulle efferatezze commesse dalle truppe tedesche durante il conflitto, si è iniziato ad aprire gli occhi, per così dire. È stato un processo anche doloroso, perché ha toccato molte famiglie. Ci sono figli che in seguito alla presa di coscienza hanno rotto del tutto i ponti con genitori e famigliari rimasti legati ai paradigmi degli anni del nazismo».
E in Italia?
«Il discorso è diverso. Oltre all’occupazione tedesca dopo che è stato firmato l’armistizio dell’8 settembre 1943, ha vissuto la sollevazione dei gruppi partigiani contro le truppe tedesche e una guerra civile in cui si è combattuto contro coloro che erano rimasti fedeli a Mussolini e a quel che rimaneva del fascismo. C’è quindi stato un ampio movimento di rottura rispetto a quello che era lo stato delle cose sino a quel momento e vi è anche stata una presa di coscienza più immediata rispetto a quanto avvenuto in Germania su ciò che erano il fascismo e il Terzo Reich, così che allo stesso tempo si è sentita la necessità di combattere armi in mano affinché l’Italia potesse rientrare quanto prima nel novero delle nazioni civili e democratiche».


A proposito delle stragi commesse in Italia, che ci può dire sui profili di coloro dei loro autori e avete sin qui identificato?
«Fra i perpetratori si trova un po’ di tutto, per così dire. Molti erano di famiglie della classe media, altri appartenevano all’aristocrazia tedesca o all’alta borghesia delle grandi città, così che nella vita civile avevano raggiunto un buon grado di istruzione. Un fattore, questo, grazie al quale, dopo la conclusione della guerra, hanno potuto ritrovare in tempi brevi il loro posto nella società tedesca e nel mondo del lavoro. E quindi, come ho già spiegato, di continuare a permeare per decenni la società stessa con il loro essere e la loro mentalità, acquisendo nel contempo un’immunità e una sorta di diritto all’oblio per i crimini di guerra che avevano commesso su ogni fronte ai danni di civili, partigiani e prigionieri delle nazioni che avevano invaso».


Le vostre ricerche hanno permesso di offrire una nuova prospettiva storica sulle stragi commesse sul territorio italiano?
«La mancanza di dati concreti e accertati sui perpetratori tedeschi e sui reparti militari a cui appartenevano ha portato in passato i famigliari delle vittime ad accusare altri italiani per quanto di tragico era avvenuto, arrivando anche ad affermare che le efferatezze degli occupanti erano state la reazione a deliberate provocazione da parte dei gruppi partigiani. Grazie alle nostre ricerche, ora siamo però in grado di rimettere le cose nella loro giusta prospettiva, perché sappiamo che le azioni contro i civili erano parte integrante della conduzione delle operazioni di guerra da parte della Wehrmacht e delle SS. Cercando negli archivi, a questo proposito, abbiamo trovato un documento scritto della Wehrmacht, l’unico finora conosciuto per il teatro di guerra italiano, in cui si ordinava, in una determinata azione, di uccidere anche donne e bambini, cosa che in quel caso, fortunatamente, non avvenne, come abbiamo potuto appurare».
Cosa possiamo ancora dire, in conclusione, sul vostro progetto?
«Sintetizzando, direi che le nostre ricerche intendono offrire un contributo allo sviluppo di una nuova cultura della memoria storica sia in Italia sia in Germania, contributo che speriamo possa suscitare l’interesse di tutti grazie al contenuto del sito ns-taeter-italien.org».
Approfondimento scientifico che ancora mancava
Lo storico
Carlo Gentile è docente all’Istituto di studi ebraici dell’Università di Colonia. Per molti anni è anche stato perito tecnico per la magistratura italiana e quella tedesca nei procedimenti riguardanti le stragi commesse in Italia dai nazifascisti durante la Seconda guerra mondiale, stragi che costituiscono il suo principale campo di ricerca.
Il progetto
Il progetto che ha portato alla creazione del sito online www.ns-taeter-italien.org, attualmente in italiano e tedesco, si propone di contribuire a un approfondimento sulle stragi commesse in Italia dai nazisti fra il 1943 e il 1945 attraverso i ritratti dei soldati che le hanno commesse – sia della Wehrmacht sia delle SS – e delle loro formazioni militari di appartenenza. È stato lanciato perché sia in Germania sia in Italia in precedenza non era mai stato svolto un lavoro specifico sui profili e sulle azioni commesse dai nazisti che hanno perpetrato le stragi. Per indagare la mentalità dei singoli e i meccanismi della violenza sono stati utilizzati come fonti diari e lettere di guerra, deposizioni processuali, interviste e inchieste giornalistiche effettuate dall’immediato dopoguerra fino agli anni Duemila. Il progetto è sostenuto dal «Fondo italo-tedesco per il futuro» che è finanziato dal Ministero degli Esteri tedesco.