L’avvocatessa del diavolo che non vince mai

Ha dedicato tutta la vita alla difesa dei diritti di coloro che nessuno vuole difendere. A 72 anni, l’israeliana Lea Tsemel non ha nessun problema a definirsi «l’avvocatessa del diavolo», o «delle cause perse» ma, nonostante l’infinità di problemi che le sue convinzioni le hanno procurato, continua a credere nella giustizia e nella possibilità di cambiarla dal di dentro. Nel documentario che Rachel Leah Jones e Philippe Bellaïche le hanno dedicato, in uscita nelle sale ticinesi, la seguiamo prima di tutto nel suo instancabile lavoro quotidiano, impegnata nel difendere davanti ai tribunali d’Israele due giovani (un ragazzo di 14 anni e una ventenne) accusati di aver attentato alla sicurezza dello Stato pur non avendo provocato né danni né vittime. Due casi in cui la sua strategia di difesa si basa sul medesimo concetto: Israele occupa abusivamente una parte crescente dei territori palestinesi ed è quindi lecito che gli abitanti di queste regioni si ribellino alla situazione e cerchino di manifestare il proprio malcontento in maniera illegale tanto quanto è illegale il modo di agire dello Stato ebraico. Un ragionamento che ovviamente non fa breccia nell’approccio giuridico dei magistrati israeliani, che emettono sentenze fortemente condizionate da motivazioni politiche, partendo dal presupposto che ogni palestinese è un potenziale nemico. il cui scopo è quello di mettere in pericolo la sicurezza nazionale.
Attraverso la figura di Lea Tsemel e della sua vicenda personale, politica e professionale, i due registi ricostruiscono una parte della storia delle persone e dei movimenti che non hanno mai accettato questo modo di pensare sin dal 1967, dalla vittoriosa Guerra dei sei giorni, che vide Israele occupare la penisola del Sinai, la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme e le alture del Golan. L’allora diciannovenne studentessa Lea non si unisce al tripudio generale ma inizia a militare in organizzazioni di sinistra che mirano alla riconciliazione tra arabi e israeliani. Un impegno che la spingerà a trasformarsi in un vero e proprio simbolo: più volte minacciata si rifiuterà sempre di fare un passo indietro o di espatriare e continuerà imperterrita la sua lotta a favore dei più deboli. La sua unica storica vittoria risale al 1999, quando la Corte suprema israeliana accettò un suo ricorso decretando l’illegalità della tortura fisica e psicologica durante gli interrogatori degli imputati da parte delle forze dell’ordine ma anche dei servizi segreti. Una norma che però, in mancanza di una volontà politica che la faccia rispettare, negli ultimi anni è caduta quasi nell’oblio.
Il film ha un ritmo serrato indispensabile per seguire da vicino la sua protagonista, utilizza delle sequenze d’animazione per non svelare l’identità di alcune persone e non manca di momenti di riflessione, come le interviste molto toccanti con i figli e il marito di Lea e di materiali d’archivio ben selezionato.