L'azzardo di Emilio Fede

Emilio Fede è stato un personaggio così popolare che adesso, dopo la sua morte, è superfluo raccontare attraverso una normale biografia, sia pure ricca di episodi e di rapporti con altri personaggi famosi, da Berlusconi in giù. La realtà è che Fede ha portato nel suo giornalismo e nella sua vita la grande passione per il gioco d’azzardo, per molti una malattia ma per lui un modo di essere e di attraversare con ironia e fatalismo quasi un secolo.
«Privé – La vita è un gioco»
Fede si è raccontato in maniera lucida nel 1998, con il suo Privé – La vita è un gioco, il migliore dei suoi libri e quasi un testamento spirituale in largo anticipo, in purissimo stile Fede TG4: provocatorio e autocelebrativo, ma anche con una fortissima ideologia di fondo. Nel libro Fede paragona la vita reale a quella nei casinò: ogni scelta è una scommessa, anche quando ci si illude di andare sul sicuro. Di più: il confine fra successo e rovina, anche limitandosi alla televisione, è sottilissimo. Meglio quindi rischiare, alla fine è lo stesso ma almeno si è protagonisti della propria vita. Questo il Fede-pensiero, che va al di là delle sue frequentazioni di casinò reali: Monte Carlo, Saint-Vincent e soprattutto Campione d’Italia, senza trascurare Lugano e Mendrisio.
La diretta da Vermicino
Anche nel giornalismo ha sempre rischiato, pur non essendo certo un eversore del sistema. Diversamente non sarebbe diventato conduttore e poi direttore del TG1, in quest’ultima veste inventore riconosciuto della cosiddetta tivù del dolore, iniziata con la diretta da Vermicino, cioè la tragedia che ha segnato un prima e un dopo nella televisione italiana. La morte di Alfredo Rampi, un bambino di sei anni caduto in un pozzo artesiano, sotto gli occhi di un paese che seguiva in diretta le vane operazioni di soccorso e l’accavallarsi di reazioni e interventi sopra le righe, fra cui quello del presidente della Repubblica Pertini, fu raccontata come non era mai stato fatto prima, con il privato a diventare subito pubblico. Oggi con i social network un meccanismo banale, nel 1981 una rivoluzione.
L'addio alla RAI
L’azzardo non sempre paga, al di là degli aspetti finanziari: Fede ha guadagnato cifre che per un giornalista, anche televisivo, sono incredibili (totale stimato in 25 milioni di euro) e spesso è stato al limite, calmandosi soltanto in tarda età: i conti di quanto ha perso sono facili da fare, anche se qualcosa aveva conservato per condurre una vita relativamente agiata a Milano 2, curato dal badante. Ma il gioco gli ha fatto perdere la RAI, ricordando la vicenda del 1984, quando Fede fu coinvolto in un’indagine su una presunta bisca clandestina a Bergamo. L’allora giornalista RAI fu accusato di esercizio del gioco d’azzardo per aver partecipato a una serata al casinò di Campione d’Italia in compagnia di personaggi, alcuni davvero da romanzo, legati a un giro di truffe e attività illecite. Successivamente sarebbe stato assolto, come sempre è capitato quando c’è stato di mezzo il gioco d’azzardo (condanne invece per il caso Ruby e per la tentata estorsione a Mediaset). L’inchiesta indusse comunque la RAI ad accompagnarlo alla porta, anche se formalmente non fu licenziato. Sullo sfondo la politica dell’epoca, visto che Fede era considerato vicino a Bettino Craxi, l’allora presidente del Consiglio e leader del PSI, e quindi fu attaccato da Democrazia Cristiana e Partito Comunista, peraltro teorici alleati di Craxi rispettivamente nel governo nazionale e in quelli locali. A dirla tutta i suoi primi nemici erano interni alla RAI, in particolare fra i giornalisti che mal tolleravano il suo stile di vita mondano, così distante dal grigiore (scambiato per autorevolezza) del giornalista medio, e dalla sua voglia di fare spettacolo: nel 2025 che un giornalista per così dire serio partecipi a una trasmissione leggera, o addirittura la conduca (memorabile il suo ‘Test’, gioco a quiz basato sulla psicologia), non fa notizia, a metà anni Ottanta sì. Fede riprese con la piccola ReteA di Peruzzo, poi nel 1989 l’incontro folgorante con Berlusconi, la Fininvest, la diretta nazionale consentita dal 1991, la direzione del Tg4 e Studio Aperto, tutto ciò che abbiamo visto per anni.
La scommessa su Tangentopoli
Scommettere sull’importanza di un evento è sempre stato nel DNA di Fede e anche con Tangentopoli nel 1992 fu così: il primo a capire la portata storica e anche pop di quell’inchiesta che avrebbe cambiato l’Italia, con l’entrata in politica di Berlusconi e tutto il resto. Paolo Brosio, inviato davanti al tribunale di Milano con il tram sullo sfondo, e i suoi siparietti con Fede sono storia della televisione. Un’altra scommessa giornalistica vinta, come un anno prima era stata vinta quella su Bellini e Cocciolone: i due aviatori italiani catturati dagli iracheni furono trasformati all’istante da Fede in eroi popolari, con il racconto della loro prigionia mescolato sapientemente alle reazioni dei parenti, degli amici e di chiunque passasse per strada con un inviato di Fede nei pressi.
Il rapporto con il calcio
Lo strano rapporto di Fede con il calcio ha incrociato più volte la sua passione per il gioco. I più giovani hanno nella testa l’immagine di Fede tifoso del Milan, seduto a San Siro a pochi metri da Berlusconi, ma in realtà lui era juventino fin dall’infanzia. Addirittura fu tra i fondatori di Forza Juventus, poi diventato Hurrà Juventus, rivista che per decenni è stata un punto di riferimento per i tifosi bianconeri. Una passione che nell’era Fininvest-Mediaset sarebbe stata ben nascosta, ma non per servilismo come in tanti hanno sostenuto: semplicemente Fede era così affascinato dalla figura di Berlusconi, che aveva i suoi stessi antipatizzanti, da cambiare bandiera calcistica senza problemi. Come giornalista e direttore comprendeva la grandissima presa popolare del calcio e lo trattava senza snobismo, ma non era un grande intenditore. Questo non gli impediva di scommettere su tutto ed è proprio in questa veste che lo abbiamo conosciuto, negli anni Novanta, quando presso la redazione sportiva di Mediaset chiedeva a informazioni sullo stato di forma di questa o quella squadra, in certi casi di paesi a malapena affiliati alla FIFA. E a volte toccava a noi fare la telefonata serale a casa sua (già abitava a Milano 2, a poche centinaia di metri dalla redazione del Tg4) per leggergli i risultati (a casa non aveva internet) delle tante partite su cui aveva giocato. Spesso, quando le cifre in campo erano molto pesanti, le telefonate erano più di una: lui sempre gentilissimo, senz’altro più che con i suoi redattori, anche quando gli davamo cattive notizie riguardanti il Lokomotiv Mosca-Newcastle della situazione. Di sicuro con il calcio ha perso meno che al casinò, anche se come tanti giocatori perdenti tendeva a ricordare soltanto le vittorie: in particolare la sera in cui levò al casinò di Monte Carlo un miliardo di lire, soldi poi prontamente persi nelle visite successive e che comunque gli avrebbero portato male (accusa di riciclaggio, poi finita in niente). Non avrebbe mai smesso di giocare, nel giornalismo e nella vita, prendendo il meglio da entrambi: adesso ha abbandonato il tavolo, non ha stravinto ma ha chiuso in attivo.