"Le ampie vetrate valorizzano gli oggetti esposti"

Il m.a.x. museo di Chiasso festeggia dieci anni di vita - Intervista a Pia Durisch e Aldo Nolli
Red. Online
11.11.2015 16:00

Il m.a.x. museo di Chiasso compie dieci anni: inaugurato il 12 novembre 2005 su iniziativa della Fondazione Max Huber-Kono, è divenuto nel 2010 un'istituzione pubblica del Comune di Chiasso. Per l'occasione domani, 12 novembre, alle 11.45, si festeggia con un brindisi e con l'apposizione della targa del Premio SIA, alla presenza del sindaco Moreno Colombo, della capodicastero Cultura Patrizia Pintus, di Federica Colombo, presidente della SIA Ticino e degli architetti Pia Durisch e Aldo Nolli, che hanno realizzato il museo.

Da una terra di nessuno avete fatto nascere un centro culturale: quali tappe sono state fondamentali nel vostro progetto?

Aldo Nolli: «Spesso i progetti importanti nascono apparentemente per caso, dall'incontro delle persone giuste al momento giusto e dalla concomitanza di tempi, intenti, interessi e idee. Da coincidenza e sincronicità».

Pia Durisch: «Il centro culturale di Chiasso trae origine dall'intento di Aoi Huber Kono di costruire un museo in memoria di Max Huber, che ci ha scelti perché le era piaciuto un progetto. Abbiamo poi trovato la disponibilità del Municipio di Chiasso, che ha messo a disposizione un terreno per la costruzione del museo. La scelta cadde su un'area industriale abbandonata da anni, quella dell'ex Garage Martinelli, un sito che poneva problemi ambientali. Proponemmo al Municipio di recuperare l'intera area, nobilitandola con l'inserimento del m.a.x. museo e recuperando la vecchia officina per trasformarla in Spazio Officina».

AN: «Abbiamo scoperto come, partendo da un piccolo mandato e con mezzi economici modesti, grazie all'impegno di tutti e al suggerimento di sinergie tra pubblico e privato, sia possibile creare un nuovo luogo. Un processo che sulla «Neue Zürcher Zeitung» è stato definito «La reinvenzione culturale di una città» da Roman Hollenstein».

Il progetto museale vi è stato commissionato da Aoi Huber Kono: che rapporti avete avuto con il committente?

PD: «Un ottimo rapporto fino alla fine del progetto. La Fondazione Max Huber-Kono era gestita da un comitato che comprendeva, oltre a Aoi Huber Kono, l'artista Silvano Repetto e la designer Caroline Holdener. Per la gestione del progetto si era costituito un comitato scientifico di cui facevamo parte insieme ad altri personaggi della cultura e in cui era rappresentato anche il Municipio di Chiasso».

Accanto c'è lo Spazio Officina: come si distinguono queste due realtà?

AN: «Se il m.a.x. museo è un cristallo, bianco e trasparente, con spazi intimi permeati di luce diffusa, uno scrigno destinato ad ospitare opere d'arte preziose, Spazio Officina è uno spazio industriale multiuso con una superficie di 800 mq liberamente configurabili per ogni genere di attività: festival letterari, concerti jazz, esposizioni d'arte, convegni e conferenze, didattica e workshop per bambini. Una vera e propria officina, sobria e spartana, che nel contesto urbano contrasta materialmente, con la sua pelle scura ed opaca, col m.a.x. museo».

PD: «m.a.x. museo e Spazio Officina sono due progetti sostanzialmente diversi ma assolutamente complementari: da una parte un piccolo museo nuovo, progettato nella più assoluta libertà, dall'altra la rigenerazione e il risanamento ecologico di un edificio industriale. Due interventi complementari che formano una nuova entità univoca. Una delle caratteristiche del m.a.x. museo è la concezione della luce, con ampie vetrate e spazi luminosi. E poi c'è l'illuminazione notturna, che rende unica la struttura».

Come avete pensato di fare convivere questa vostra opera semplice e di luce con le opere museali?

PD: «Noi abbiamo creato una White Box, una serie di spazi espositivi neutri che forniscono condizioni ideali per qualsiasi tipo di esposizione o allestimento. È stato sorprendente vedere esposto un grande dipinto ad olio in una delle sale espositive, ed è stato sorprendente constatare come lo spazio valorizzi l'oggetto esposto».

AN: «Pensiamo che un sistema espositivo sostenibile debba per forza essere flessibile, e quindi essere ridotto al minimo. Il rapporto tra spazio espositivo e opera esposta deve essere il più immediato possibile. Lo spazio deve permettere un confronto diretto e immediato con l'opera d'arte. L'attitudine di lasciare spazio ai contenuti è un aspetto importante per la nostra architettura, che ritroviamo in molti nostri progetti».

Dieci anni dopo: c'è qualche cosa che si potrebbe cambiare, aggiungere, modificare per le attuali esigenze?

AN: «È un piacere vedere come funziona oggi il centro culturale di Chiasso. Rispetto alle dimensioni e alle possibilità economiche è a nostro avviso una delle più significative realtà culturali del Cantone, che sa cogliere l'interesse di un pubblico a livello locale ma anche internazionale. Chiasso ha saputo dare una continuità al m.a.x. museo integrandolo nella gestione della cultura e affidandone la direzione a Nicoletta Ossanna Cavadini, che gestisce m.a.x. museo e Spazio Officina con grande entusiasmo».

PD: «Insieme abbiamo sognato di potere aggiungere un piccolo padiglione-bar, un BarMax o MaxCaffé, immaginato tra il giardino e il museo per rispondere alle esigenze di un polo culturale. Chissà...».

Come giudicate lo spazio culturale nel contesto cittadino odierno?

PD: «Lo spazio culturale è oggi una realtà consolidata, anche a livello urbanistico. Se il nostro progetto voleva essere quello che chiamiamo un «attivatore urbano», questo intento è pienamente riuscito. Negli anni si è potuto realizzare, grazie a un concorso, anche il terzo elemento del nostro masterplan originale, la doppia palestra delle scuole medie. Altri interventi riferibili a quel piano sono stati realizzati. Ci piace pensare che il recupero sostenibile di un'area industriale dismessa, abbia facilitato altri sviluppi».

AN: «Che questo sia stato possibile grazie a un impulso quasi casuale è sorprendente. Parlando del Centro Culturale si pensa sempre agli edifici, ma forse la qualità più importante risiede nell'aver creato un luogo, in cui volumi e spazi pubblici si completano e si integrano in modo organico e naturale nel palinsesto urbano di Chiasso: un luogo per tutta la comunità. Costruire qualcosa di utile per la società, è la maggiore soddisfazione».

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