Le imprese... criminose dei veterani dell’hard rock

Solo i fan più accaniti lo ricordano, ma agli albori della loro carriera i Deep Purple non lesinavano le cover. Il primo – e per molto tempo unico – successo, Hush, arrivava infatti dal repertorio di Joe South e nei loro primi tre album si incontrano le firme di Lennon & McCartney, Donovan, Neil Diamond, Phil Spector e classici come Hey Joe, Help, River deep, mountain high. Poi le cose sono cambiate quando la band è entrata In rock e, almeno in studio, si è concentrata sul proprio materiale, tanto che, nel corso dei decenni, sono semmai gli altri a rifare Smoke on the water, Highway star, Black night e tanti altri brani. Di quei Deep Purple «Mark I» oggi sopravvive in formazione il solo batterista Ian Paice. Alla voce troviamo un Gillan sorprendentemente in forma, il basso è saldamente nelle mani di Roger Glover mentre i «nuovi» (per così dire) Steve Morse e Don Airey sono ormai parte integrante del quintetto che ha deciso di... «darsi al crimine», incidendo un disco di sole canzoni altrui. Per molti altri questo segna l’inizio del declino, ma questo gruppo ha conosciuto talmente tanti alti e bassi nel corso del suo mezzo secolo e più di storia, da non gettare ombre su questa operazione.

È colpa del lockdown, invece: costretti a lavorare a distanza, si sono concentrati su questo progetto, Turning To Crime, rimandando – eterni giovanotti – le loro creazioni al futuro. Alla sedia del produttore siede, nuovamente, Bob Ezrin e la scelta dei pezzi è abbastanza originale, talvolta spiazzante con una frecciatona agli eterni rivali Led Zeppelin. Eh sì, perché nel lungo medley conclusivo Caught in the act appare anche una citazione di quella Dazed and confused che Jimmy Page scippò senza troppi complimenti allo sconosciuto Jake Holmes, accreditandola al legittimo autore. Per il resto sfilano omaggi ai coetanei Love quasi punk (già nell’originale) di 7 and 7 is, ai Fleetwood Mac di Oh well, agli Yardbirds di Shapes of things, perfino ai Cream di White room. Ma nell’album c’è spazio anche per il Dylan di Watching the river flow decisamente non nelle corde di Gillan al contrario di Dixie chickens dei Little Feat. Meglio il rockabilly che era alla base di Speed king: Rockin’ pneumonia and the boogie woogie flu di Huey “Piano” Smith, Jenny take a ride! di Mitch Ryder & The Detroit Wheels e , soprattutto, l’eccellente Let the good times roll di Ray Charles. E l’hard rock?, si chiederà qualcuno. Beh, ricordiamo che nel 2022 Machine head e, di conseguenza, anche Smoke on the water compiono 50 anni: ci sarà dunque tempo per i suoni heavy...