Concerto

Le magiche atmosfere delle «pennate cadenzate»

Domani sera al Teatro Sociale Bellinzona torna il quartetto ticinese Hot Club de Suisse con la sua originale proposta di «jazz manouche»
Il quartetto Hot Club de Suisse: da sinistra, Anton Jablokov, Daniele Gregolin, Marco Ricci e Danilo Boggini. © Teatro Sociale Bellinzona
Dimitri Loringett
11.11.2022 12:05

Si legge «jazz manouche», si dice «Hot Club de France». Ma si può anche dire «Hot Club de Suisse». È infatti nel solco della tradizione musicale del leggendario chitarrista franco-gitano Django Reinhardt che si addentra il quartetto ticinese formato dal fisarmonicista Danilo Boggini, dal chitarrista Daniele Gregolin, dal contrabbassista Marco Ricci e dal violinista Anton Jablokov, che sabato sera si esibirà in quel Teatro Sociale Bellinzona che vide i quattro debuttare esattamente due anni fa. «Era previsto il concerto del mio settetto con ospite Flavio Boltro, ma per via delle limitazioni causate dalla COVID lo si dovette annullare», ci racconta Danilo Boggini. «Dato che stavo già lavorando sul mio nuovo progetto di jazz manouche e avevo un accordo con il chitarrista Daniele Gregolin, e grazie anche alla disponibilità del Sociale a organizzare una serata per “massimo 30” (persone), ci siamo trovati nel pomeriggio per provare le parti e la sera abbiamo suonato i brani davanti al pubblico, in prima assoluta quindi». Da quella fortuita coincidenza a oggi il quartetto Hot Club de Suisse ha affinato il proprio repertorio – un misto di composizioni di Boggini e di Gregolin e di arrangiamenti originali – e si è esibito in una lunga serie di concerti, incluso uno showcase negli studi radio della RSI. Allo stesso tempo il gruppo ha realizzato alcuni video destinati alla Rete, la cui veste sonora «sarebbe adatta per una pubblicazione discografica», ci confida Boggini, che rimane tuttavia attendista su quel fronte: «se riusciremo a organizzare un tour abbastanza lungo, potremmo pensare di fare una tiratura limitata su vinile».

Abituato a sperimentare con diverse situazioni, il fisarmonicista bellinzonese trova ora nel jazz manouche una dimensione decisamente consona al suo strumento. «La fisarmonica in effetti non si può suonare in tutti i generi musicali, tanto meno nel jazz dove è poco diffusa», spiega Boggini, «ma se c’è uno stile di jazz che si è basato proprio su questo strumento è il manouche. Anzi, in origine, in Francia, lo si chiamava “musette” e lo stesso Reinhardt iniziò accompagnando, alla chitarra, i gruppi musicali che suonavano questa musica». Una particolarità di questo genere «storico» del jazz è l’assenza della batteria, strumento ritmico per eccellenza ed elemento fondante del jazz statunitense. Ancora Boggini: «Già nel il mio precedente progetto Swing Power avevo rinunciato alla batteria, ritengo infatti che il groove si costruisca “da dentro”, dalla melodia e dal modo di suonare. In effetti, nel jazz manouche la batteria è assente, poiché il ritmo è dato in primis dalla chitarra, con la sua caratteristica pennata cadenzata combinata con la stoppata di corde (la cosiddetta “pompe”). Quindi, in un certo senso Hot Club de Suisse rappresenta un’evoluzione naturale rispetto ai miei precedenti progetti».