La recensione

L’ennesimo affascinante viaggio sonoro di Björk

Ha le tinte del ghiaccio e della terra scura, «Fossora», l’undicesimo album della poliedrica artista islandese
La cantante, compositrice e musicista islandese Björk Guomundsdóttir (56 anni).
Alessio Brunialti
13.10.2022 06:00

Se da Björk è lecito aspettarsi l’inaspettabile, l’unica certezza dell’artista islandese è che ogni sua opera non sarà mai banale, che i brani in essa contenuta saranno frutto di ponderata scelta e che ogni suono, ogni sillaba saranno stati meticolosamente posizionati per dare vita a un nuovo, policromo quadro sonoro.

Questo suo nuovo Fossora – undicesimo capitolo della sua discografia – ha le tinte del ghiaccio e della terra scura, perché è un disco nato dopo la morte della madre e durante la pandemia, vissuta nella nativa isola nordica. Eppure l’introduzione è affidata ad Atopos, parola che in greco indica la mancanza di un luogo definito, l’essere fuori posto: brano in cui le voci si rincorrono su un tappeto percussivo martellante (nel vero senso del termine). La prevalenza dei clarinetti testimonia che, come aveva dichiarato l’artista stessa, questo inizialmente doveva essere un lavoro incentrato particolarmente sullo strumento. Ma già Ovule vive di campionamenti, suoni d’orchestra e cori sommessi che sostengono la voce di Björk che non conosce il passare del tempo. E proprio la voce campionata e suonata come un’orchestra di fiati a sorreggere Mycelia, brano che propone un altro dei temi di questo gruppo di canzoni: i funghi, capaci di spuntare ovunque dalla terra, inattesi, non sempre buoni, talvolta psichedelici e il risultato è davvero allucinogeno, pur trattandosi di una breve parentesi senza parole. Solo parole e voci, invece, un’autentica polifonia dai tratti esoterici per Sorrowful Soil, questa terra piena di dolore. Ancestress per archi, è invece l’inevitabile dedica alla genitrice, con echi antichi che sfociano nella breve Fagurt er í fjörðum, che recupera la lingua madre. Victimhood è lo status pop di Björk oggi: ascoltatela per comprendere quanto sia su un altro pianeta rispetto alla contemporaneità. La più delicata Allow è quasi una danza folk, punteggiata dai flauti. Si torna poi al sottobosco (e ai clarinetti) con Fungal City, così come Trölla – Gabba è un altro esercizio a più voci campionate e suonate. Freefall (caduta libera) per contro riporta a certe atmosfere di Vespertine e Medulla (gli album più vicini a questo).

Fossora, la canzone che dà il titolo all’album è quasi lieve anche se musica saltellante contrasta sempre con i vocalizzi. La chiusa del disco l’artista l’affida all’elegia commovente di Her Mother’s House. Chi ammira Björk non va convinto, chi se la ricorda per i brani quasi dance sappia che questo è disco affascinante, ma non facile, densissimo, un viaggio sonoro che pretende attenzione: astenersi perditempo.