Recensione

Dickens in Ticino: gli istituti di correzione

Nel libro «Il mio nome era 125» Matteo Beltrami racconta l’odissea vissuta dal padre, Piero Beltrami, negli anni infantili quando venne separato con la forza dalla madre e sottoposto a misure coercitive a scopi assistenziali
Un dettaglio della copertina.
Sergio Roic
21.01.2021 19:34

A molti di voi è capitato di imbattervi in uno dei celebri romanzi di Charles Dickens, l’ottocentesco scrittore britannico che meglio di ogni altro ha descritto le sofferenze dei bambini abbandonati a se stessi nell’Inghilterra dell’industrializzazione accelerata. Ma nel libro Il mio nome era 125, di Matteo Beltrami per le Edizioni Ulivo, siamo in Ticino e l’azione si svolge prevalentemente negli anni ’50 del Novecento. Ma di che cosa si tratta? Dell’odissea di dolore patita dal padre dell’autore, Piero, in quegli anni ospite coatto dell’Istituto correzionale Von Mentlen di Bellinzona. Il piccolo Piero, nato fuori dal matrimonio, strappato alla madre e affidato alle «cure» dell’istituto è uno degli sfortunati protagonisti di un’epoca di repressione: parecchie migliaia di casi si contano infatti in Svizzera in quegli e negli anni precedenti. Il bambino Piero non aveva nemmeno un nome nell’istituto, ma solo un numero, il 125 appunto, ed è stato esposto dall’età di 6 fino agli 11 compiuti a vessazioni di vario genere da parte di un personale del tutto impreparato a gestire i piccoli ospiti. Con le leggi federali cambiate negli anni ’60-’70 anche questo tipo di istituti ha cambiato registro ed oggi la situazione al loro interno è ben diversa. Ma la storia e il dolore rimangono: Matteo Beltrami ne parla con passione e partecipazione.

Edizioni Ulivo, 2019; 168 pagine.
Edizioni Ulivo, 2019; 168 pagine.

Recensione apparsa su ExtraSette n. 16, 2020

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