L'intervista

«È un premio per tutte le donne che non si lasciano sottomettere»

A tu per tu con Benedetta Tobagi, scrittrice e giornalista, vincitrice del Premio Campiello
Francesco Mannoni
18.09.2023 06:00

La Resistenza delle donne (Einaudi, 376 pagine, 22 euro) con i 90 voti ottenuti dai 300 giurati segreti, s’impone sugli altri quattro finalisti, conquista Venezia e l’ambito Premio Super Campiello giunto quest’anno alla LXI edizione. E la scrittrice Benedetta Tobagi esulta per le tante eroiche partigiane che lottarono duramente e in molte si sacrificarono per la patria, torturate e assassinate dai nazisti e dai fascisti, delle quali racconta nel suo libro le imprese rischiose e il coraggio che nessuna minaccia o rischio seppe mai fermare o sottomettere.

Più che eroiche le donne della Resistenza, ma perché dopo la liberazione furono dimenticate, retrocesse ad una dimensione di supporto come non fossero state importanti e del tutto indispensabili alla lotta armata?
«L’ordine sociale patriarcale preesisteva al fascismo, e sopravvive al regime. In più, con la Guerra fredda, sul Paese cala una cappa conservatrice, in nome dell’anticomunismo. In questo contesto, l’esperienza di rottura della Resistenza va archiviata in fretta, le donne sono risospinte nelle case, devono cedere di nuovo i posti di lavoro agli uomini e, se lavorano, devono continuare a essere sottopagate. Ma un seme è stato piantato: molte continuano a impegnarsi e a fare politica, portando avanti il programma che era stato dei Gruppi di Difesa della donna, la principale organizzazione femminile della Resistenza: “portare la donna in un piano di parità rispetto all’uomo nel campo giuridico, economico e politico”».

Nella storia ufficiale della Resistenza, inizialmente delle donne e del loro coraggioso apporto si parlava poco. Si trattava di una sottovalutazione della loro attività, o d’altro?
«Per molti anni, nell’immaginario collettivo, la “vera” Resistenza è stata solo quella armata, quindi una faccenda da maschi (le donne combattenti armate sono state effettivamente una minoranza, per quanto significativa); anche nel resto d’Europa, il riconoscimento dell’importanza della “Resistenza civile” arriva decenni dopo la fine della guerra. Il contributo femminile era dunque rappresentato come puramente ancillare. Invece è stato fondamentale: senza donne, nell’Italia occupata e spaccata in due dopo l’8 settembre, la Resistenza non sarebbe stata possibile sotto il profilo logistico e operativo».

Che cosa ha spinto le donne, a parte l’amor di patria, fino ad allora custodi dei focolari domestici ad affiancare gli uomini in qualunque modo potessero per far trionfare gli ideali di riscatto e di libertà?
«Tranne rari casi, alle donne erano preclusi lo studio, l’accesso alle professioni e alla vita pubblica. C’era stata una minoranza di militanti antifasciste già attive in clandestinità, donne che spesso si battevano dal principio del secolo sul luogo di lavoro per maggiori tutele e paghe più giuste, ma per gran parte delle donne la Resistenza è l’occasione di avvicinarsi alla politica per la prima volta. Molto spesso però è una scelta “prepolitica”, dettata da ragioni etiche ed esistenziali: le donne sono stanche della guerra, rifiutano la violenza feroce dei nazifascisti, sentono di dover fare qualcosa per porre fine ai massacri. Molte di loro diranno infatti di aver fatto “la guerra alla guerra”».

Molte le eroine che lei ricorda nel suo libro, molte le donne che sono state uccise magari dopo torture tremende: quale insegnamento ci rimanda il loro coraggio e abnegazione?
«Oltre la paura e i pericoli terribili, i racconti delle partigiane trasudano vitalità, gioia di vivere, il senso di pienezza di chi si sente parte di qualcosa di più grande, che dà significato alla vita... Il loro insegnamento trascende il momento storico. Le donne compiono, innanzitutto, una scelta di assoluta gratuità: avrebbero potuto restare a casa, aspettare che la tempesta passasse, invece decidono di non restare indifferenti e fare la propria parte. Ci mostrano, poi, che esistono mille modi diversi di lottare e fare la propria parte nel mondo, a seconda delle attitudini. Infine, mostrano come impegnarsi per il bene collettivo possa essere tutt’uno con un percorso di liberazione e realizzazione personale. Mi sembra che siano insegnamenti validi e preziosi per il nostro presente. E anche per il nostro avvenire».