Il libro

I ricordi più belli del Mondiale più brutto

Stefano Olivari ci riporta a Italia ’90 con la cronaca, giorno per giorno, rivissuta da uno dei calciatori azzurri, l’«Azzurro di Vicini» - Chi sarà la «gola profonda»? Si aprono le scommesse
© AP/Mark Lennihan
Paolo Galli
23.11.2021 20:20

«Il Mondiale più brutto nella storia del calcio». Inizia da questo giudizio, tranciante, volutamente provocatorio (o forse no), il libro di Stefano Olivari dedicato a Italia ’90, «L’Italia del ’90, storia segreta del nostro Mondiale» (Indiscreto, cartaceo 15,50 euro, Kindle 6,99). Chi c’era in effetti può testimoniarlo. La finale stessa è lì a ricordarcelo. Un Mondiale d’altronde non può - non potrebbe - finire con un rigore di Brehme. Ci scuseranno i tifosi della Germania (Ovest, allora) e dell’Inter, ancora affezionati al ricordo del terzino biondo, ma davvero non può finire così. Specie con Maradona, un Maradona, in campo.

Erano i Mondiali di Maradona in Italia, sì, a Napoli addirittura a giocarsi un posto in finale. Di Ciao. Di Gianna Nannini e Edoardo Bennato. Per me, allora bambino, delle partite viste in spiaggia, nella hall dell’albergo, nelle gelaterie. Erano i Mondiali di Baggio e Schillaci. Già, Baggio e Schillaci. Il gol di Baggio, metà viola e metà bianconero, alla Cecoslovacchia. Quelli di Schillaci. L’urlo di Schillaci. E pensare che i due - Baggio e Schillaci - erano partiti da panchinari, e nemmeno i primi della lista. Olivari, in compagnia di uno di quegli azzurri, l’«Azzurro di Vicini», ci ricorda cosa portò i due a scalare le gerarchie di Azeglio Vicini, del CT. E ci ricorda molto altro.

Il suo libro è un po’ ricordo, ma è tanto anche racconto, un racconto in gran parte inedito. Perché l’«Azzurro di Vicini» dice parecchio. Certo, si nasconde dietro uno pseudonimo, ma i nomi, gli altri nomi, li fa. Il bello poi sta anche lì, in quella omertà che si trasforma di fatto in un gioco. Della serie: scopri chi sono! Ognuno può farsi la propria idea, ma - meglio dirlo subito - non se ne arriva comunque a una. Potrebbe essere chiunque: tutti e nessuno. L’«Azzurro» in questione è uno dei 22 selezionati. Potrebbe essere uno dei tre portieri - il terzo, Pagliuca, in quel momento era forse il più forte numero uno al mondo -, oppure uno dei tanti difensori di qualità di cui era dotata quella nazionale. C’erano infatti Maldini e Baresi, ma anche Bergomi e Ferri, Vierchowod, e poi Ferrara e D’Agostini. Potrebbe essere uno dei centrocampisti. Difficilmente Ancelotti; non visse bene quei Mondiali, mezzo acciaccato, deluso, e poi oggi non si nasconderebbe dietro uno pseudonimo. E non racconterebbe tanto. E se fosse uno degli attaccanti? Uno tra Baggio e Schillaci? Mah, difficile, sono due tra quelli che ne escono peggio. Uno distaccato da tutto, insicuro nel proprio ballo tra Fiorentina e Juventus, l’altro vissuto male dal gruppo storico.

Vicini aveva i suoi preferiti. I suoi «boys». Aveva nostalgia di Altobelli e aveva a che fare con un Vialli dal cuore fin troppo grande. Lui e quella sua smania di spaccare il mondo e i Mondiali. Finì per deludere, si scoprì in parte superato. Non come Mancini, che neppure riuscì a scendere in campo, ma comunque superato. Vialli e Mancini. La coppia della Sampdoria fresca vincitrice della Coppa delle Coppe. Era l’anno delle italiane. Sì, perché il Milan vinse la Coppa dei Campioni - battendo in finale il Benfica -, mentre la Juventus la Coppa UEFA ai danni proprio della Fiorentina. L’anno delle italiane, ma non dell’Italia.

L’Italia era la squadra più forte, quell’estate, ma non vinse il suo Mondiale. Troppo alte le aspettative, la pressione. Una pressione che emerge, forte, tra le pagine del libro di Olivari. Che merita una lettura. E la merita perché rappresenta un tuffo nella nostalgia più leggera. Un tuffo alla fine degli anni Ottanta. Eravamo reduci da quegli anni spensierati. Nessun futuro, solo quei Mondiali, che sembravano il centro del mondo, della storia, anche per noi da questa parte del confine. Comunque tifosi. Ancora illusi e ingenui nell’osservare quella grande giostra. Il Mondiale più brutto nella storia del calcio? Sarà, ma ritornarci è sempre bellissimo.