Recensione

Julian Barnes e il pappagallo di Flaubert

La storia di un volatile impagliato s’intreccia con quella del narratore ottocentesco francese, capace di voli d’immaginazione senza confini
Un dettaglio della copertina.
Sergio Roic
21.01.2021 14:49

Julian Barnes, uno dei più originali autori inglesi, scrisse nel 1984 uno dei suoi libri più amati, Il pappagallo di Flaubert, romanzo che è stato riproposto da Einaudi in lingua italiana. È la storia di un anziano dottore, Geoffrey Braithwaite, che si è cimentato anche con la letteratura e in particolar modo col narratore ottocentesco francese Gustave Flaubert. Durante un viaggio nei luoghi flaubertiani, il protagonista del romanzo scoprirà che il buon Gustave scrisse una delle sue storie più toccanti «assistito» da un pappagallo impagliato che gli teneva compagnia mentre creava. La storia del pappagallo, e assieme a essa la storia dell’intera esistenza di Flaubert, conduce a mo’ di fil rouge il lettore verso la rivelazione di una vita difficile eppur ricchissima, quella del Gustave national, racchiusa spesso e volentieri fra le mura di una stanza a causa della salute malferma, ma capace di voli d’immaginazione senza confini. La storia del pappagallo, poi, e quella dell’autore francese è anche la storia dello stesso Julian Barnes che teorizza e poi mette in pratica la strategia del linguaggio metaletterario: se parli di uno scrittore che ami, in realtà lo trasformi, lo fai tuo, al punto da confondere le tue idee e predilezioni con quelle dell’autore amato. Mai Barnes fu più vicino al vero senso della letteratura combinatoria...

Einaudi editore, 2015; 230 pagine.
Einaudi editore, 2015; 230 pagine.

Recensione apparsa su ExtraSette n. 20, 2020

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