Letteratura

«Scrivo anche per tessere collegamenti tra mondi che di solito non si parlano»

L'intervista a Fabienne Radi: la scrittrice friburghese sarà ospite della XVII edizione di Babel che si terrà dal 15 al 18 settembre a Bellinzona
© Fabienne Radi
Viviana Viri
14.09.2022 18:15

La scrittrice friburghese Fabienne Radi sarà ospite della XVII edizione di Babel che si terrà dal 15 al 18 settembre a Bellinzona. Il suo libro Émail diamant (art& fiction, 2020) nel 2022 ha vinto il Premio svizzero di letteratura. L’abbiamo intervistata in anteprima.

L’edizione di Babel di quest’anno prenderà spunto dalla parola greca Ekphrasis, investigando il rapporto tra la scrittura e le altre arti. Interazione, relazione, ibridazione, che cosa significano per lei?
«Ho iniziato a praticare la scrittura nello stesso momento in cui ho iniziato la scuola d’arte e questo mi ha permesso di entrare in un mondo in cui la nozione di ibridazione è completamente integrata, non come in quello letterario. Nel mondo dell’arte si lavora sul testo come se fosse materia, allo stesso modo in cui si lavora la creta o con la pittura. Questo approccio dà la possibilità di impadronirsi dei testi che troviamo, che vengono poi stravolti, deviati, riarrangiati. In questo modo si sperimenta nel fare, senza necessariamente preoccuparsi della questione dell’ispirazione. Si dà importanza alla forma piuttosto che al contenuto. Il testo non è qualcosa di sacro, posto su un piedistallo, come spesso accade nel mondo letterario. I laboratori di scrittura delle scuole d’arte incoraggiano gli studenti a sperimentare le diverse forme in modo piuttosto libero, allontanandosi così dal problema dello scrivere bene. Nella pittura non diremmo mai che un quadro è ben dipinto, mentre spesso diciamo di un libro che è ben scritto. La mia scrittura è molto influenzata da questo modo di vedere le cose, la questione non è tanto quella del soggetto sul quale scriverò, e quindi dell’ispirazione, quanto quella di come lo scriverò, quali strumenti userò, dove li prenderò. Nel campo musicale, come nelle arti visive, siamo molto più svincolati: prendiamo in prestito qua e là, acceleriamo, allunghiamo, giriamo in circolo».

La sua scrittura si nutre infatti di altre arti, come riesce a fondere questi linguaggi? Quale sente più vicino?
«Quello che prendo in prestito dalle arti visive sono gli strumenti: appropriazione, diversione, ricomposizione. Mi piace molto leggere le interviste agli artisti, si impara molto sul loro modo di lavorare. È molto concreto. C’è un lato artigianale, spiegano i problemi tecnici, la trama di un materiale, la questione dei colori. Per me lavorare sul testo è la stessa cosa. È una materia da stravolgere fino al limite di una forma. La questione dell’ispirazione non mi interessa. Puoi scrivere di qualsiasi cosa, purché la guardi abbastanza a lungo, ha detto lo scrittore americano David Foster Wallace. È quello che dico anche ai miei studenti quando sono paralizzati davanti alle loro tastiere, non sapendo cosa scrivere. Dobbiamo sbarazzarci della questione dell’ispirazione, che è un concetto del XIX secolo. Potremmo parlare della scrittura come del confezionare un paio di pantaloni: possiamo seguire uno schema ma anche trasformare una gonna, tagliare una tenda, allungare una sottoveste, fare due buchi in un cappello, cucire un cavallo a una tenda. La scrittura è una pratica concreta, che coinvolge i gesti. Quando mi cimento con romanzi e saggi, scrivere non è niente, ma riscrivere è tutto. Macino, modifico molto, finché la forma non tiene. Per me la scrittura è più vicina al cucito, ma anche alla cucina. L’importante non sono gli ingredienti, ma il modo in cui li utilizziamo, come li integriamo e li mescoliamo».

Nei suoi lavori troviamo anche molti riferimenti al cinema.
«Sono piuttosto una cinefila, mi piacciono soprattutto i film degli anni Settanta e, data la mia età avanzata, ne ho visti parecchi. I miei riferimenti sono infatti il cinema e la cultura pop. L’idea non è di riempire i miei testi di richiami a questi universi, ma di cercare di tessere collegamenti tra mondi che non sono abituati a parlarsi. Ad esempio facendo collegamenti tra un dipinto di Rembrandt e una scena del film Rocky. La questione non è creare legami tra cultura alta e bassa a tutti i costi, quanto piuttosto riuscire a creare connessioni che abbiano un senso. E la cultura pop è un buon serbatoio per catturare immagini che parlano alle persone».

Nel mondo dell’arte probabilmente nessun altro oggetto si presta a così tante definizioni, diverse e sfuggenti, come il libro d’artista. Come si è avvicinata a questa forma d’espressione?
«Nelle scuole d’arte il libro d’artista fa parte dei mezzi espressivi. Alla HEAD di Ginevra, la scuola che ho frequentato e dove insegno oggi, il libro d’artista è un mezzo espressivo come un altro. Invece di usare il colore e una tela, o una macchina fotografica e un tavolo di montaggio, si usa lo spazio del libro con tutte le sue specificità. Non deve essere complicato, l’importante è che ci sia coerenza, che ci siano collegamenti tra la forma e il contenuto. Questa è l’opportunità offerta dalle scuole d’arte: ti incoraggiano a fare dei test, ti permettono anche di fallire. Come dice Samuel Beckett devi sbagliare molto per ottenere qualcosa. Prova ancora, sbaglia ancora, sbaglia meglio».

Émail diamant ha vinto il Premio svizzero di letteratura 2022, un libro che sperimenta diverse forme espressive. Che cosa significa secondo lei?
«Credo che la letteratura si stia aprendo ad altre forme espressive iniziando a prendere in prestito strumenti da altri universi, in particolare dalle arti plastiche, ma anche dalla musica. Mi piace leggere testi che mi sorprendono, che mi muovono, che mi colpiscono anche nel modo sbagliato. Gli scrittori e gli artisti che mi interessano maggiormente sono quelli che usano la semplicità, che è qualcosa di molto difficile da raggiungere. Sopra la mia scrivania c’è una frase di John Baldessari che dice: “Non dico mai edificio quando potrei utilizzare altrettanto CASA”. Per me questa frase dice tutto. Lo ripeto spesso ai miei studenti quando iniziano a scrivere credendo che sia necessario utilizzare parole preziose per essere dei letterati».

Un’edizione dedicata al rapporto tra le arti

Dal 15 al 18 settembre Babel, il festival di letteratura e traduzione di Bellinzona, presenta un’edizione dedicata al rapporto tra le arti. L’edizione dal titolo Babel Ekphrasis invita autori e autrici la cui scrittura si nutre fortemente di altre arti, e artiste e artisti che operano tra più arti, accostando ai dialoghi in teatro una rassegna cinematografica, un concerto, un DJ set, due mostre d’arte, gli incontri Industry per operatori culturali, un laboratorio di scrittura nella lingua adottiva e quattro laboratori di traduzione. Tra gli ospiti, oltre a Fabienne Radi, Jean Echenoz, Mario Martone, Jakuta Alikavazovic, Léonor de Récondo, Frédéric Pajak, Aaron Schuman, Gwenn Rigal, Nicola Gardini. www.babelfestival.com.