L’illusione di essere tutti dei fotografi

Ormai sembra una storia già sentita mille volte. I colossi dell’elettronica hanno bisogno di mettere sul mercato almeno un modello di nuovo di smartphone ogni anno. E ogni anno devono spiegare perché varrebbe la pena di cambiare quello che abbiamo in tasca con l’ultima novità uscita. Fino a qualche anno ogni volta erano più leggeri, erano più sottili, avevano uno schermo più luminoso e definito. Ma ormai i margini di miglioramento sono sempre più vaghi, eccetto che su un particolare: le fotocamere. Il punto di forza diventa quello. E ogni modello di Samsung, di iPhone, di Huawey ha qualcosa in più per fare fotografie meravigliose.
Telefonino o fotocamera?
Ma con gli smartphone si possono scattare fotografie paragonabili a quelle delle macchine fotografiche professionali? In realtà no. Per una serie di motivi tecnici che sarebbe complicato spiegare. Ma è indubbio che per scattare foto che rimangono sul nostro telefonino, o al massimo su uno schermo di un computer, i risultati sono eccellenti. Se invece decidete di stamparle in un formato medio grande, tipo 50 centimetri per 70, e senza la retroilluminazione degli schermi, la storia cambia di molto. Ma, e c’è un ma, l’avere in tasca, ormai da anni, un dispositivo che permette buone fotografie in qualsiasi condizione di luce, e che può essere utilizzato in qualsiasi momento, e permette inoltre, attraverso Instagram, di mostrare le proprie foto a tutti, ha cambiato il nostro modo di pensare il mondo e di servirci delle immagini. Non è un caso che i colossi che producono smartphone siano così concentrati sulla fotografia. Solo su Instagram, nel mondo, vengono pubblicate 311 miliardi di fotografie ogni giorno. Quasi tutte scattate con uno smartphone. Sono cifre impressionanti che ci dicono alcune cose.
La prima sembra la più semplice ma non lo è: il mondo scatta fotografie di continuo. Trent’anni fa le foto erano solo per le macchine fotografiche e per chi se le portava con sé, cariche del rullino analogico. La fotografia non era ancora un modo collettivo di guardare il mondo. Per pochi era un lavoro, e per gli appassionati un hobby: non un modo di prendere appunti, un di ricordare, ma anche un’arte e un’estetica attraverso filtri che sono sempre più accattivanti, i colori sempre più saturi, e tutti hanno la certezza che la qualità fotografica sia a portata di mano.
La prova della stampa
In realtà non è così. Perché c’è un trucchetto che semplifica le cose. Quando scattiamo con i nostri telefonini tendiamo poi a rivedere la fotografia su Instragram: il formato è di 7 centimetri per 4,5. Ma questo se abbiamo uno smartphone con lo schermo plus, perché sennò il formato è ancora più piccolo. Bene, neanche durante la prima guerra mondiale si scattavano e si stampavano fotografie così piccole. Abbiamo rimpicciolito le immagini per migliorarne la qualità, perché i difetti si vedano sempre meno. La nitidezza è diventato uno degli imperativi di chiunque scatti oggi una fotografia. Poi andiamo alle mostre dei grandi fotografi di un tempo e vediamo immagini sgranate, un po’ mosse, non esattamente definite e ci rendiamo conto che il mondo sta cambiando perché abbiamo inventato una filosofia dell’immagine che prima d’ora non era mai esistita. È un trucco che funziona, ma che ci dà l’illusione che la realtà sia diversa da quella che abbiamo davanti agli occhi. Il grande Henri Cartier-Bresson diceva che «la nitidezza è un concetto borghese». Oggi siamo ossessionati dal numero di «K» che hanno i nostri televisori, 4, 5, 8K e si andrà avanti così. Il nostro occhio non percepisce più le differenze. Siamo attentissimi che ogni dettaglio del mondo sia ripreso con una saturazione e una chiarezza spettacolari. Ma ci condanniamo a guardare i dettagli a noi più cari nello spazio di qualche millimetro. Ed è per questo che gli album non li stampiamo. Anche senza essere dei fotografi professionisti, anche senza sapere abbastanza di fotografia, abbiamo l’intuito di capire che stampare le nostre foto, che ormai sono la nostra vita, significherà trovarsi davanti a una delusione. Le troveremmo sgranate, opache, senza i colori che siamo abituati a vedere attraverso la luce degli schermi.
I vecchi album dei ricordi
L’album dei ricordi, che i nostri nonni sfogliavano pagina dopo pagina su volumi gonfi e pesanti resteranno nelle nostre tasche, senza riuscire a vedere quello che conserviamo nella luce giusta e nella dimensione giusta. Ma ogni anno ci diranno che c’è un nuovo modo di scattare, una nuova postproduzione accessibile anche ai principianti, una serie di filtri che farà assomigliare il vostro obiettivo di pochi millimetri in una lente spettacolare. Ogni autunno che verrà cercheranno di convincerci che il mondo sia sempre più nitido di quanto già non lo fosse con il modello di telefono che teniamo in tasca. E intanto quelle 113 mila miliardi di foto che ogni anno appaiono su Instagram (per non dire delle altre di tutto il web) aspettano di essere dimenticate per ritrovare una memoria vera della nostra vita che dobbiamo ricominciare a portare con noi.