L’incendio americano che cambiò il mondo

Una nuova interpretazione della storia della Rivoluzione americana e delle sue ramificazioni su scala intercontinentale è al centro del saggio di Jonathan Israel «Il grande incendio. Come la Rivoluzione americana conquistò il mondo» (Einaudi). Fondata sulle idee radicali dei «padri fondatori», in primis, Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, James Madison e Thomas Paine, in quanto ispiratori dei movimenti democratici e delle innovazioni costituzionali in Europa e nell’America Latina, la Rivoluzione americana iniziò come rivolta politica guidata da minoranze formatesi nelle tredici colonie, ma, a mano e mano che la guerra e i dibattiti politici presero corpo, entrarono nell’agone anche le idee radicali dell’Illuminismo su diritti, libertà e sovranità popolare. In seguito, prendendo forma il sistema costituzionale, iniziarono a prevalere istanze più moderate, sovente caldeggiate da Alexander Hamilton, il primo Segretario al Tesoro della nuova nazione. Israel mostra come la Rivoluzione americana avviò la demolizione dell’universo gerarchico della prima modernità, fatto di re, aristocratici, servi della gleba, schiavi e imperi coloniali mercantili. Abbiamo intervistato lo studioso americano.
Professor Israel, perché lei rimuove la violenza fisica della gente comune come causa della Rivoluzione?
«Pare a me, dalle mie ricerche, ma anche come questione di puro buon senso, che quando una popolazione scarsamente istruita e in parte analfabeta viene destabilizzata da forte insoddisfazione, risentimento e rabbia, le conseguenze per la società siano inevitabilmente vaste se la pressione è priva di direzione, in termini di obiettivi politici complessi, ristrutturazione istituzionale e redazione di nuove costituzioni. Ciò significa che un popolo insoddisfatto sino alla collera può essere spinto abbastanza facilmente in direzioni diverse da esortazioni e promesse di una vita migliore, da fanatismo religioso, dall’una o dall’altra fazione ideologica, qualunque sia il momento migliore per ottenere una presa sull’insoddisfazione. Il risultato è che l’insurrezione o la rivoluzione possono essere potenzialmente sospinte in direzioni varie e sono più probabili scontri feroci che non una risposta unitaria».
Perché ha analizzato Tom Paine più d’ogni altro leader?
«A Tom Paine ho dedicato molta attenzione perché le sue pubblicazioni ampiamente lette, a partire da “Common sense” (1776) spostarono sempre più la pubblica opinione americana prima nella direzione dell’indipendenza e più tardi nella direzione di uno sbocco democratico-repubblicano, esplicitamente anti-monarchico e anti-britannico, più di quanto non lo facessero gli altri leader ideologici della Rivoluzione quali Franklin, Jefferson, Adams e il governatore Morris. Non è una questione di lascito duraturo, bensì di impatto in quella specifica stagione».
Che cosa fa, secondo lei, di Thomas Jefferson, il terzo presidente americano, una figura piuttosto tragica?
«Non sono certo che chiamerei esattamente Jefferson una figura tragica, poiché ebbe una carriera di grande successo e considerevole influenza negli Stati Uniti nei primi anni dopo l’indipendenza. Possedeva anche eccezionali doti di scrittore, e di negoziatore e fu assai abile nel propagare il suo stile pro-francese e anti-britannico di repubblicanesimo democratico. Fu anche il presidente che nel 1803 realizzò il “Louisiana Purchase” (“Acquisto della Luisiana”) raddoppiando in un colpo le dimensioni degli Stati Uniti. Ma, come presidente fu eccessivamente legato alla propria base di supporto in Virginia e al sud; inoltre la sua educazione e i suoi pregiudizi non lo resero sufficientemente comprensivo dei problemi scottanti degli schiavi neri e della loro terribile situazione negli Stati Uniti. La sua incapacità di frenare la diffusione della schiavitù (per esempio, in Louisiana, Arkansas e Missouri) e di indebolire gli interessi dei proprietari di schiavi in America tradì, nel complesso, i suoi princìpi di emancipazione, propri dell’illuminismo radicale, in una misura che, alla distanza e materialmente, contribuì al gioco delle forze che portarono alla Guerra Civile».
Perché gli «Americani moderati» esaltarono Locke e il lascito della Gloriosa Rivoluzione, specie il «governo misto», come adatto ad ogni società?
«Il lascito della Gloriosa Rivoluzione, l’ideologia inglese del “governo misto”, e la “teoria del contratto” di governo di Locke, implicavano un sistema basato su una assai ristretta elite di votanti e sull’effettivo dominio di Parlamento, diplomazia, esercito, marina e sistema legale da parte dell’aristocrazia. L’idea che la società dovesse esser governata dai pochi che erano ricchi e molto istruiti, radicata in profondità nel XVII e XVIII secolo, attraeva gran parte dei grossi proprietari, ricchi mercanti e politici dei nuovi Stati Uniti del 1776. John Adams e il governatore Morris furono tra i portavoce e pubblicisti più importanti di questa ideologia di “moderato illuminismo” aristocratico».
Diversi cittadini venezuelani, colombiani ed ecuadoriani, residenti per un certo periodo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, portarono in patria idee rivoluzionarie. Può accennarne?
«La lotta contro il potere nell’America spagnola (1808-1826) durò molto più a lungo dei sette o otto anni di quella nel Nord America (1775-83). La regione era assai più eterogenea e divisa etnicamente in termini di status sociale e classi. Per tali ragioni la varietà delle influenze ideologiche che ebbero un ruolo notevole nello spingere le opinioni in differenti direzioni tendevano ad essere diverse. Alcuni dei pubblicisti più importanti trascorsero periodi significativi nel Nord America, in particolare a Filadelfia, talché gli scritti di Paine, in particolare, ebbero un considerevole impatto, tradotti in spagnolo. Ma al tempo stesso, Bolivar, Miranda e diversi altri leader “Libertadores”, furono veri cosmopoliti, repubblicani con una solida conoscenza dell’Europa, e delle idee francesi e italiane, spagnole e inglesi. Anche per questa ragione, non sorprende che non solo Paine, Franklin e Jefferson, ma anche Filangieri, Bentham, Sieyes, Condorcet e Constant ebbero una considerevole influenza sull’evoluzione altamente complessa della lotta ispanico-americana. La diffusione dei rivoluzionari ideali democratici nel XIX secolo fu una battaglia di idee condotta su scala mondiale».
Come influenzò Filangieri le idee degli «American founders»?
«L’influenza di Filangieri fu assai inferiore nel Nord America che non in Spagna e nell’America spagnola. Solo Benjamin Franklin nei nascenti Stati Uniti pare essersi interessato seriamente alle sue idee».