L’incontro-scontro tra Eva e Rainbow in un mondo fuori dal tempo

Nell’ultima dozzina d’anni non sono certo rimasti con le mani in mano: basta andare sul sito del loro Studio Asparagus per scoprire una dozzina di cortometraggi autoprodotti (tra cui Death for a Unicorn passato in concorso alla Mostra di Venezia), una serie web (La stirpe di Orazio per RSI), innumerevoli videoclip (tra cui diversi per i Vad Vuc) e non pochi spot. Un percorso intenso che li ha portati a dar vita ad un universo estremamente personale, all’interno del quale si mischiano le atmosfere gustose e malinconiche di un Mendrisiotto ruspante e stralunato e le suggestioni di una dimensione fantastica che flirta con il fantasy ma se nei distingue sempre. Dopo una simile gavetta i registi ticinesi Francesca Reverdito e Riccardo Bernasconi hanno finalmente girato il loro primo lungometraggio, intitolato Papaya 69 e prodotto dalla Pic Film di Nicola Genni con RSI e il sostegno dell’Ufficio federalel della cultura.

«Una storia al femminile»
Papaya 69 racconta l’incontro tra due giovani donne: Eva (interpretata da Rosanna Sparapano) è una sudamericana in fuga da un ex compagno violento ma non solo; Rainbow (Valentina Violo) è una ex star della Tv rimasta imbrigliata nel personaggio adolescenziale di Papaya che tuttora interpreta in versione hot per un sito vietato ai minori. Un incontro tutto al femminile dunque: «Sì, - ci risponde Riccardo Bernasconi - è una co-regia come sempre dove si sente molto la mano di Francesca nella storia. Le protagoniste sono due trentenni e di mezzo c’è una figlia, che una delle due non se l’è sentita di tenere con sé per tutta una serie di motivazioni anche valide, mentre l’altra si trascina dietro un conflitto irrisolto con la madre. All’inizio del film, il loro più che un incontro è uno scontro: partono subito col piede sbagliato, poi piano piano capiscono di essere complementari e che, grazie all’altra, ognuna potrebbe ottenere ciò che le serve. Dapprima c’è quindi più egoismo che amicizia ma col tempo nasce una fiducia reciproca che le porterà a percorrere la strada che avrebbero voluto, o dovuto, seguire già in precedenza». Una vicenda che vorrebbe spingerci tutti quanti ad essere noi stessi e non quello che vorrebbero gli altri? «La storia nasce proprio da un incontro che ho avuto diversi anni fa con un attore che ha vissuto una situazione simile: - dice Francesca Reverdito - Harry Winkler, che per tutti rimane ancora oggi rimane il celebre Fonzie di Happy Days nonostante siano passati 40 anni. Questa è stata la fonte del suo successo, ma se tu oggi lo chiami Fonzie non è per nulla felice. Non è qualcosa che vale solo per gli attori naturalmente: tante persone portano avanti il sogno dei genitori invece del proprio e poi arrivano a 30 anni e si rendono conto che quel che fanno non è ciò che vorrebbero fare». Sembra una storia molto reale, ma lo è davvero visti i vostri precedenti? «No, non è molto reale, - continua Francesca - anche se alla base sono storie vere. Rimane però quel nostro stile un po’ fantastico, con elementi sorprendenti, surreali e l’aspetto visivo è nelle nostre corde». Non bisogna infatti dimenticare che Francesca, oltre che co-regista e co-sceneggiatrice, si occupa anche di scenografia, trucco e costumi: «Non sono ancora pronta a delegare tutto ciò a qualcun altro, forse in futuro...» dice ridendo.

Da Mendrisio alla val Susa
Le riprese di Papaya 69 sono durate sei settimane, si sono concluse da pochi giorni e si sono svolte tra il Mendrisiotto e la regione di Como con un’appendice a Bussoleno, in val Susa (Piemonte). «Le nostre location le scegliamo sempre un po’ col cuore, ci facciamo guidare dalla curiosità. - dice Francesca - In questo caso abbiamo ricostruito diversi ambienti in un edificio abbandonato a Mendrisio ed abbiamo utilizzato anche la casa di mia nonna in Piemonte, dove ho ricreato la casa di Rainbow. Per me era importante avere a disposizione uno spazio per lungo tempo, per poter lavorare con tranquillità. E ciò mi è stato utile soprattutto durante il periodo del lockdown». «È un luogo fuori dal tempo, - aggiunge Riccardo - perché anche stavolta per noi era importante non dichiarare né l’anno né il Paese dove si svolge la storia, anche se poi per nostro gusto estetico siamo sempre rivolti al passato, in questo caso agli anni Novanta. Ci prendiamo però molte libertà: in Papaya 69 ci sono gli smartphone ma anche le VHS». Un mondo, e un film, tutti da scoprire insomma. All’inizio del 2022.