L’iniziativa Schwarzenbach e la Svizzera di mezzo secolo fa

Ricorre quest’oggi, domenica 7 giugno, il cinquantenario del voto sulla prima iniziativa Schwarzenbach, quella «storica», secondo cui ogni Cantone (salvo Ginevra, data la presenza di numerose organizzazioni internazionali) avrebbe dovuto ridurre la percentuale di stranieri al 10% della sua popolazione. La proposta fu bocciata con 654 mila voti, contro 557 mila, ossia dal 54% contro il 46%. La partecipazione fu molto elevata, variando fra il 63,3% di Appenzello Interno e l’88,7% di Sciaffusa (media nazionale: del 74,1% ossia di 3 aventi diritto su 4). Ricordiamo che avevano questo diritto solo gli uomini (il suffragio femminile sarebbe stato introdotto l’anno seguente). Diversi Cantoni della Svizzera centrale, ma anche Friburgo e Soletta, diedero però maggioranze favorevoli. Iniziative simili, seppur prevedendo percentuali leggermente maggiori (il 12 o il 12,5%) furono ugualmente respinte negli anni successivi, così come una che voleva limitare le naturalizzazioni, per evitare che eventuali disposizioni limitative del numero fossero aggirate in tal modo.



La Svizzera, come Paese povero di materie prime, fino a tutto l'Ottocento, ebbe più connazionali all’estero che stranieri sul suo territorio. Le cose cambiarono a cavallo tra Otto- e Novecento, causa lo sviluppo edilizio e turistico delle principali città. Nel 1910 il numero di stranieri residenti superava già il mezzo milione. Si ridusse però di molto fra le due guerre mondiali. Nel 1941 se ne contavano appena 223 mila. All’epoca del «boom economico» ripresero tuttavia ad aumentare, e nel 1970 superavano il milione (cifra che allora sembrava astronomica).
La svolta dopo la guerra
Alla fine degli anni Cinquanta, ci si rese conto che la cosa sarebbe continuata (prima si pensava che detta presenza sarebbe stata limitata nel tempo). Lo scrittore Max Frisch coniò allora la famosa definizione «Cercavamo braccia, sono arrivati uomini», a significare che le persone estere avevano pure aspettative e diritti. Sorsero poi vari «movimenti anti-stranieri». Il più noto fu la «Nationale Aktion gegen die Überfremdung von Volk und Heimat» («Azione nazionale contro l’inforestierimentodel popolo e della patria») fondata a Winterthur nel 1961 dal disegnatore di macchine, poi consigliere nazionale Fritz Meier (1914-2009). Nel ‘64 perfino i capi del Partito socialista (il presidente Fritz Grütter, il capogruppo parlamentare Walther Bringolf e il presidente dell’Unione sindacale Hermann Leuenberger), si fecero portavoce delle preoccupazioni operaie, che temevano la concorrenza straniera. L’anno seguente, il Partito democratico del Canton Zurigo, sperando di frenare un declino da tempo in atto, lanciò un’iniziativa popolare (poi ritirata) che chiedeva una forte riduzione della popolazione straniera. L’Azione Nazionale lanciò pertanto l’iniziativa citata all’inizio. Fu allora che entrò in scena Schwarzenbach. Zurighese attivo nell’editoria, fino a quel momento non aderente a nessun partito, nel ‘67 si candidò al Consiglio Nazionale sulle liste dell’Azione Nazionale, di cui risultò l’unico eletto.



James Schwarzenbach, più che un politico fu un «guastafeste». Nato nel 1911 in una famiglia protestante di industriali tessili zurighesi, si convertì poi al cattolicesimo. Si dedicò quindi all’editoria. Dopo l’elezione in Parlamento, divenne l’esponente più noto dei movimenti anti-stranieri. Dall’Azione Nazionale si staccò però presto, fondando il Movimento repubblicano, che per breve tempo ebbe un certo successo (nel 1971 riuscì ad eleggere ben 7 consiglieri nazionali, tra cui il noto prof. von Waldkirch di Berna). Dopo il ritiro dalla politica attiva, nel ‘79, si stabilì nei Grigioni, dove morì nel 1994.
L’iniziativa cha aveva fatto scorrere «fiumi di inchiostro», fu dunque spazzata via. Difficile dire cosa sarebbe accaduto in caso contrario. Siccome la norma costituzionale avrebbe richiesto una legge di applicazione, si può prevedere che le Camere sarebbero riuscite ad applicarla in modo molto «soft». Né è dato di sapere che cosa sarebbe accaduto se gli «espulsi» si fossero rifiutati di partire. Ad ogni buon conto, il risultato evitò entrambi i rischi.
Ragioni e pregiudizi dietro la proposta
Le motivazioni della proposta si possono intuire. Gli stranieri (italiani per circa il 55%) erano accusati di attentare agli usi e costumi elvetici, e spesso anche di essere rumorosi e violenti. Erano pregiudizi largamente diffusi negli «Stammtisch» della Svizzera tedesca, non privi di rispondenza, come abbiamo visto, neppure negli ambienti operai, tant’è che il Partito socialista del Canton Zugo e la sezione della città di Coira si pronunciarono in favore dell’iniziativa, sperando di mettere in difficoltà gli ambienti padronali. Negli ambienti «ufficiali» l’iniziativa fu invece combattuta a muso duro. Dopo che le Camere federali si erano pronunciate contro, con un solo voto a favore, la lista di partiti e associazioni di vario genere che facevano appello a respingerla si allungava di giorno in giorno. Le argomentazioni erano sostanzialmente di due tipi: da un lato si invitava a considerare la figuraccia che avrebbe fatto la Svizzera in caso di accettazione, che avrebbe rinnegato la sua tradizione cristiana e umanitaria di accoglienza, accusando gli iniziativisti di «xenofobia» (termine colto, divenuto popolare in quel torno di tempo); dall’altro, si metteva l’accento sui problemi che l’iniziativa avrebbe causato, imponendo «l’espulsione» di ben 300 mila lavoratori «indispensabili alla nostra economia», colpevoli solo di avere... un passaporto diverso. Qualcuno ammetteva bensì che la massiccia presenza di stranieri causava anche dei problemi, ma si aggiungeva che semmai occorrevano «altre soluzioni».
In Ticino la più netta percentuale di "no"
Nel nostro Cantone esisteva solo una piccola sezione dell’Azione Nazionale (presidente Franz Minotti, gerente della Coop e consigliere comunale a Torricella; vice Giacomo Zanini, buralista postale, già granconsigliere e municipale a Bellinzona), priva di organi di stampa. La campagna per la votazione fu perciò a senso unico (contrario, naturalmente). Tutti i giornali (compreso «Il Paese», di regola non ostile ai nazionalismi) si schierarono compatti per il no. Il sì dovette accontentarsi di poche «lettere del pubblico». Il risultato fu quindi massicciamente negativo: 26.820 no (pari al 63,7%: percentuale contraria più alta della Svizzera) e 15.273 sì.