L’odissea del signor Hirsch

Fare i conti con gli errori collettivi del passato significa anche raccontare e conoscere le singole storie di coloro che di questi errori hanno pagato le conseguenze sulla propria pelle. In questo senso è sicuramente un bene che sia ora disponibile anche in italiano per i tipi delle Edizioni Ulivo di Balerna l’autobiografia di Peter Hirsch (Si faceva chiamare Peter Surava) per farci aprire gli occhi su una pagina di storia svizzera che di certo non ci piace ma che è importante non dimenticare. Quella di Hirsch è una storia di giornalismo d'inchiesta, di censura e di persecuzione giudiziaria; la storia di un pioniere dei reportage sociali costretto a cambiare il suo «troppo ebraico» cognome prima di assumere la guida del settimanale bernese Die Nation (che grazie a lui diventerà un punto di riferimento per l’antifascismo nel nostro Paese nei terribili anni Quaranta) che subì l’antisemitismo senza essere ebreo, l’anticomunismo senza essere mai stato comunista e che a causa del suo coraggio civile e delle sue inchieste «scomode» o troppo in anticipo sui tempi patì ingiustamente il carcere, la diffamazione e l’emarginazione sociale e professionale. È insomma il ritratto inquietante di una Svizzera oscura e ambigua raccontato da un uomo senza legami di partito che pagò il suo impegno subendo una feroce persecuzione giudiziaria quando la guerra era ormai finita e il fascismo era finalmente sconfitto. I politici svizzeri di cui Hirsch aveva denunciato le collusioni con la Germania nazista non gli perdonarono le prese di posizione durante la guerra e si accanirono contro di lui con ogni mezzo: con processi farsa, il carcere e un’elaborata operazione di diffamazione. Durante tutti gli anni Cinquanta e oltre la sua storia rimase coperta da un velo di omertà ed egli continuò a pubblicare i suoi libri usando vari pseudonimi, oltre a Peter Surava. Certo i suoi non erano reportage accomodanti: pensate a cosa poteva significare parlare allora (e mostrare con le celebri fotografie di Paul Senn) di affidamenti forzati, di atrocità naziste nelle zone occupate della vicina Francia, di abusi e ingiustizie nella politica svizzera dei rifugiati, di riformatori lager, di orfanotrofi disumani o di sfruttamento dei braccianti agricoli e della classe operaia al limite della schiavitù. Spiato dalle autorità e sospettato di essere al soldo dell’Unione Sovietica (lui che era stato licenziato dal Vorwärts proprio perché «non comunista») Surava finisce al centro di una vicenda giudiziaria dai contorni kafkiani in cui la pretestuosità e assurdità delle grottesche accuse di malversazione tradisce la volontà di annientamento (anche del nome) di una figura troppo scomoda per essere tollerata. «Ho voluto tradurre l’autobiografia di mio nonno - ci spiega Manuel Guidi, curatore della pubblicazione - non solo in omaggio alla sua memoria, ma innanzitutto per senso civico, perché in Ticino questa storia, come molte altre pagine nere della storia svizzera, è ancora pressoché sconosciuta. Anche se fu osteggiato, diffamato e dovette davvero affrontare il baratro, mio nonno riuscì negli anni a riacquistare la capacità di vivere. Ciò che non recuperò mai è la fiducia nelle istituzioni, nelle quali credeva e dalle quali fu amaramente tradito. Ci sono però anche delle responsabilità individuali - conclude Guidi - ad esempio del consigliere federale von Steiger, il suo principale aguzzino. Coloro che professavano il più reboante patriottismo furono i primi a tradire il valori elvetici della neutralità, dell’indipendenza e della libertà». Una storia triste di coraggio civile e di uno spirito che non si piegò mai alle vendette e agli abusi del potere. Autentico hombre vertical, come direbbe qualcuno, Hirsch fece però in tempo a vedere realizzato nel 1995 il film Er nannte sich Surava dedicato alla sua drammatica vicenda umana dal regista Erich Schmid presentato anche al Festival di Locarno. Alle giornate di Soletta la consigliera federale Ruth Dreifuss tenne un discorso in cui lo riabilitava ufficialmente mentre il consigliere federale Flavio Cotti raccomandò la visione del film a scopo didattico in tutte le scuole del Paese. Nello stesso periodo il comune grigionese di Surava da cui aveva preso lo pseudonimo e che ai tempi lo aveva denunciato chiese scusa e gli conferì la cittadinanza onoraria. Poche settimane dopo Peter Hirsch/Surava morì.