"Logan": il crepuscolo di Wolverine

Hugh Jackman, che con questo ultimo Logan, saluta uno dei suoi ruoli più fortunati, quello che lo ha lanciato: Wolverine, super eroe degli X-Men, carattere ombroso e artigli affilati. È nuovamente diretto da James Mangold, che firma anche la storia, staccandosi da quella creata nei fumetti.

Una storia a tinte cupe, crepuscolare e drammatica, violenta e molto più adulta rispetto allo standard Marvel. Una storia che si svolge  nel 2029 dove i mutanti sono quasi spariti e dove chi è rimasto si porta addosso tutti i segni del tempo. Wolverine è malato, forse di un avvelenamento da adamantio, il metallo con cui - in un esperimento governativo per renderlo un'arma micidiale - sono stati ricoperti i suoi artigli una volta ossei. Si attacca alla bottiglia e le sue ferite non guariscono più come prima. Sbarca il lunario come autista di limousine in Texas. Non ne vuole più sapere di salvare il mondo e vuole solo essere solo lasciato in pace. Naturalmente non sarà così perché suo malgrado dovrà occuparsi della piccola Laura (Dafne Keen) che è come lui, resa una ferocissima macchina da combattimento, capace di smembrare un uomo in un lampo ma che al tempo stesso rimane una bambina che adora gli unicorni rosa. Braccata da agenti governativi che voglio terminare questo esperimento mal riuscito, troverà in Wolverine una riluttante figura paterna, mentre tra una carneficina e l'altra si lanceranno in un on the road grondante sangue fra i grandi paesaggi americani.

Lontano dalla giocosità dei classici Marvel, questo Logan ha il passo drammatico del western crepuscolare. Jackman mette brutale fisicità e una sofferta, umanità nel personaggio da cui si accomiata alla grande, mentre il regista -anche cosceneggiatore - cesella un'atmosfera di rara intensità in ambito supereroistico, che non lesina sull'azione ma che al tempo stesso riesce ad essere più profonda e tragica, trascendendo i confini del genere.