L’OSI tra Ciaikovskij e nuovi esperimenti

C’era molta attesa e il pubblico delle grandi occasioni - la Sala teatro del LAC era praticamente «sold out» - giovedì sera per il debutto della nuova stagione dell’Orchestra della Svizzera italiana al centro culturale luganese. Attesa giustificata dalla consapevolezza di dover assistere a qualcosa se non di nuovo, sicuramente di innovativo nell’ambito dei tradizionali concerti del complesso sinfonico ticinese. E così è stato. A partire dall’accoglienza in un LAC la cui Hall è stata trasformata in un inedito stage sul quale presentare il progetto multimediale «Tracce», realizzato dall’OSI in collaborazione con il Conservatorio e il CISA (Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive) che prevede una serie video installazioni con performance musicali realizzate in vari angoli cittadini con i quali i musicisti (giovedì sera è stato addirittura il direttore Markus Poschner a farlo) interagiscono.

Anche il concerto ha poi presentato delle sorprese: la prima parte è stata infatti consacrata ad una composizione contemporanea, la Sinfonia da camera n. 3 per pianoforte, sax e orchestra d’archi del georgiano Sulchan Nassidse, trascritta da Poschner con il titolo Traces to Nowhere: una composizione non facile, con tratti decisamente ostici ad un ascolto che esula da un contesto di analisi strutturalistica e resa leggermente fruibile unicamente da una piacevole soluzione scenico-interpretativa iniziale (il solista al sax Hugo Siegmeth che ha cominciato a suonare tra il pubblico accompagnato unicamente dal pianoforte dalle tinte molto «bluesy» di Poschner) nonché dall’estrema abilità del complesso ticinese, capace di rendere meno indigesto un menù altrimenti davvero «pesante».
Decisamente di tutt’altro tenore la seconda parte della serata affidata alla Sinfonia n. 5 di Ciaikovskij (il compositore attorno al quale ruoteranno le prossime due stagione dell’OSI), indubbiamente una delle più straordinarie e coinvolgenti di fine Ottocento in cui l’autore mescola sapientemente tutte le influenze musicali che hanno permeato la sua scrittura regalando un affresco soave, leggiadro ma al contempo maestoso e coinvolgente. Una pagina insomma molto più «pop» rispetto a quella iniziale che ha fatto da perfetta conclusione ad una serata che ha inaugurato un nuovo modo di concepire i concerti classici che, ci auguriamo, non rimanga un episodio isolato.