Classici

Luciano e l’invenzione della fantascienza

Torna, nell’edizione curata da Alberto Savinio, il surreale poema del sofista di Samosata
Alberto Savinio, Ulisse e Polifemo (1929)
Carlo Carena
18.01.2019 06:00

L’appassionato di fantascienza e di orrori, il seguace di Batman e di Superman, il disegnatore e il lettore di fumetti astronautici e guerre stellari, l’allevatore di mostri bestiali e l’ideatore di viaggi nelle regioni più impossibili dell’universo: tutti costoro, che oggi sono legioni, trovano il loro antenato e l’ideatore del loro sistema in uno scrittore greco dell’età imperiale, uscito da una cittadina della Siria sull’Eufrate, Samosata: Luciano. Nato attorno al 120, di povere origini, avviato faticosamente all’avvocatura e presto disgustato da quella professione, si volse tutto alla filosofia e alla letteratura. L’intelligenza e la vivacità del suo ingegno ne fecero un sofista randagio dal Medio Oriente alla Grecia, all’Italia e alla Gallia, mentre sedeva sul trono di Roma l’austero Marco Aurelio, lui invece bizzarro, ameno, fantasioso, irrispettoso (la leggenda vuole che morì sessantenne divorato da un’orda di cani scatenati contro di lui dagli dèi per le sue empie offese nei loro riguardi).

Di lui molti ricordano infatti dai banchi della scuola la serie dei Dialoghi degli dèi, dei morti e delle cortigiane. Sfidò poi l’impossibile, come altri suoi contemporanei, redigendo un paradossale Elogio della mosca, insetto furbo e intelligente, ozioso e scioperato, con doppia natura di maschio e di femmina per cui alterna le loro doppie funzioni; che si rimpinza di lauti banchetti a spese altrui e trova dappertutto una mensa imbandita, nelle stalle delle capre e nelle cucine dei re.

Al termine della sua vita lo scrittore approdò infine a quella Storia vera a cui alludemmo all’inizio come alla progenitrice della fantascienza, e una progenitrice incomparabile per le sue enormità quasi caricaturali, per il vortice incontenibile delle invenzioni e delle vicissitudini, delle creazioni incontentabili e perciò sempre crescenti via via fino a esaurimento delle facoltà mentali.

Già il titolo di Una storia vera è una beffa, poiché l’opera non contiene nulla di vero né di verosimile, e questa è l’unica verità del racconto. Per tutto il resto sono tutte cose – garantisce l’autore stesso – mai viste né mai sapute, mai esistite e che mai potrebbero esistere.

Un’odissea senza precedenti

Uscito dallo Stretto di Gibilterra nell’Oceano Atlantico in compagnia di giovani come lui e su una nave ben attrezzata, col desiderio simile a quello di Ulisse di conoscere cose nuove, egli incontra una tempesta che imperversa per ottanta giorni e infine lo sbarca su un’isola misteriosa (si pensa subito a Robinson Crusoe e all’Isola misteriosa di Jules Verne). In un meraviglioso fiume di vino i naufraghi pescano pesci e se li imbandiscono, ubriacandosi; le viti che producono quella delizia sono fatte di piante alla base e poi di tralci e pampini uscenti dalle dita e dalle chiome di donne deliziose. Ripartiti, un altro tifone sospinge la nave a un’altezza di cinque chilometri, e dopo otto giorni di volo lassù nell’aria la deposita sulla Luna, mentre vi è in corso una guerra stellare fra il suo re e quello del Sole. I Lunatici, che combattono armati di funghi come scudi e di asparagi come lance, soccombono ai Solari, che cavalcano formiche alate grandi ciascuna fino a cinquemila metri quadrati; e anche Luciano e i suoi, alleati dei Lunari, vengono fatti prigionieri. Poi liberati, tornano sulla Terra, ma vengono inghiottiti da un’enorme balena.

E qui si apre la sezione più strabiliante del libro, che ci fa ora pensare al capitano Achab e alla sua caccia di Moby Dick; a Pinocchio che trova dentro alla sua balena il padre Geppetto intento a mangiare; o molto indietro, al profeta Giona che nella Bibbia è inghiottito e rimane per tre giorni e per tre notti nel ventre di un’altra balena.

Dentro al loro cetaceo lungo trecento chilometri i Greci assistono a una successione indiavolata di avvenimenti, descritti davvero con l’evidenza e la velocità di una pellicola cinematografica; la parola non viene mai meno a questo sofista incallito e a questo inventore insaziabile, quasi mettendo alla prova egli stesso le proprie capacità creative. Ma ciò che è più straordinario di tutto è che, immersi in questo nostro mondo, ci si dice che purtroppo qui, stando così le cose, le cose non possono stare che così. Dapprima al buio, non appena il mostro apre la bocca gli inghiottiti scoprono di essere in una caverna – il suo stomaco – capace di contenere una città di diecimila abitanti e piena di pesci stritolati, di alberi e ancore di navi, di ossa umane e mercanzie. Al centro una collina di fango sormontata da una foresta di piante d’ogni specie e di ortaggi.

Uscita più tardi dal mostro incendiandolo, la comitiva riprende la navigazione e dopo altri incontri e avventure, fra cui un approdo nell’Aldilà, naufraga nuovamente ma si salva a nuoto. Le altre peripezie a questo punto sono rinviate da Luciano a un libro seguente, che non fu mai scritto e dunque fa parte anch’esso delle sue memorabili beffe.

E qui viene in mente che tutto ciò è rovesciato, come se retto o verso siano tutti uguali, in un altro piccolo capolavoro moderno di fantasia e di pensiero, il Micromega di Voltaire. Lì sono i filosofi stellari, alti ventimila metri, a scendere sulla Terra dai loro astri enormi, rimanendo sconcertati non dalla grandezza ma dalla piccolezza delle nostre forme di vita. Si può ben intendere a questo punto che, oltre ai devoti di fantascienza, Una storia vera abbia attratto l’attenzione e l’interesse di scrittori e artisti ribelli alla razionalità e ristrutturatori della realtà, quali i surrealisti novecenteschi. Alberto Savinio, fratello di Giorgio de Chirico, scrittore e disegnatore egli stesso di grande fantasia, imbattutosi in questo Luciano, se ne fece preda ed editore. La buona sorte vuole che per il lettore di lingua italiana esista una traduzione arguta e ancora oggi resistente allestita a metà Ottocento da Luigi Settembrini. Savinio la riprese, ne estrasse i Dialoghi, altre operette e Una storia vera, diede loro una spolveratina, un’introduzione brillante e qualche nota non tanto per spiegare quanto per intervenire con qualcosa di suo. Inoltre e ancor più Savinio ricostruì e pose sotto gli occhi del lettore i personaggi o oggetti inventati da Luciano, in cinquanta disegni, i quali risultano necessariamente del più spinto Surrealismo. I morti tutti uguali, la mosca volante come una trottola, l’idea di potenza che la barba e la folta capigliatura donano agli uomini, e viceversa la bellezza dei calvi, i frati monocoli, la regina Cornacchia con lungo becco e lungo abito a strascico, i camminatori sull’acqua e le ninfe marine con gambe d’asina.

Questo armamentario fu allestito a Roma fra il 1944 e il ’45, al culmine tragico della Seconda guerra mondiale, quasi come un disperato tentativo di sopravvivenza, la quale non può avvenire se non fuori dalla realtà. Pubblicato allora in edizione Bompiani, il volume torna ora in accurata edizione da Adelphi.