Malattie letterarie, se le conosci le eviti

La nuova casa editrice Italosvevo di Trieste pubblica un manuale di resistenza intellettuale
Tommy Cappellini
Tommy Cappellini
07.04.2016 08:38

Mettetevi comodi e prendiamola alla lontana, addirittura divagando, ché ogni tanto, specie nelle pagine di cultura, conviene rallentare il tempo. Dunque c'è un editore a Roma, si chiama Alberto Gaffi. I lettori ticinesi potrebbero averne sentito parlare per via di Sibylle Berg, nome e volto da romanzo di Javier Marías, in realtà scrittrice e drammaturga svizzera (nata a Weimar, ha preso la cittadinanza quattr'anni fa; ha studiato nel nostro cantone, alla Scuola Teatro Dimitri). Gaffi le pubblicò, nel 2010, Tragitti, un romanzo per amatori di partenze, oseremmo dire per frequent flyers, d'atmosfera, ben scritto, poco altro. Di questa Sybille, anni prima, nel 2007, si poteva trovare negli uffici turistici dei Grigioni, gratuito, un bel racconto-plaquette con foto di Max Weiss e Peter Vann, tradotto in più lingue: Paul va a fare il bagno o Un amore in Engadina. Gradevole e veloce, fresco e ombroso come un pomeriggio di giugno in val Roseg o un'acqua al tamarindo. Era un'operazione di marketing, nulla più – ogni tanto la letteratura riempie gli alberghi – ma la Berg venne intercettata e rimase in memoria. Ora torniamo al suo editore Gaffi.

Tempo fa si mise in testa di rilevare la Italo Svevo, storica casa editrice di Trieste, e infine ci è riuscito, lui, classe '66, romanissimo ma amante ricambiato di questa città indispensabile che avrebbe ben potuto essere, con più diritti di Bruxelles, la capitale dell'Unione europea. Asburgica e colma di Spirito e di vento, la vitale Trieste, fosse stata centro nevralgico dell'UE, avrebbe sbilanciato verso est un continente ormai castrato dal benessere a credito, spingendolo in direzione di una certa fierezza e di una fatalista ma feconda joie de vivre (insomma, più Pu?kin e meno Houellebecq). Non è andata così. Ci resta solo quel quantitative easing della morale spicciola che è il politicamente corretto (carta straccia).

Fuor di politica, Gaffi ha fatto bene. Trieste è la città in primis di Carolus L. Cergoly, genio mozartiano, poi di Marin, Svevo, Saba, Bobi Bazlen, Giorgio Voghera, di Ferruccio Fölkel e delle sue storielle ebraiche. In più ci visse Joyce, ci vive Magris... si andrebbe avanti per pagine, anzi volumi, con una bibliografia che in fila arriverebbe giù fino all'incantevole, civilissima Zara, e va bene che siamo «in cultura», va bene rallentare il tempo, ma dalla tipografia stan già fischiando avvisi di chiusura giornale. Meglio correre alla polpa della notizia.«È stato un gesto d'amore e d'amicizia – ci dice Giovanni Nucci, a cui Gaffi ha affidato la direzione editoriale dell'intrapresa. Alberto frequentava Trieste da anni, affinità elettiva come poche altre, e a un certo punto s'è trovato davanti la Italo Svevo fallita. Ci ha pensato su, non troppo, e ha rilevato marchio e magazzino: l'idea, riguardo quest'ultimo, era di rimetterlo in gioco, evitargli il macero. Abbiamo mandato in distribuzione quelle copie ancora in buono stato, su 80 mila complessive, dei titoli precedenti l'acquisizione. Ma è della nuova linea che voglio parlare».

E ci mancherebbe. Ad averne sottomano, di piccole realtà come la Italosvevo (ribattezzata così, tutto attaccato), si potrebbe riaffermare un po' di sensibilità letteraria o almeno una vaga resistenza intellettuale alle scelte «sicure» e sterili degli editor dei grandi gruppi (che farci, viviamo in un capitalismo di povertà e di conservazione). Nucci lo sa bene: «È più facile fare una casa editrice partendo da Trieste che non da Roma, centro corrotto, in decadenza, ingessato. Trieste, invece, è ai margini di un impero che è in crescita e ha ottime potenzialità per ricollocarsi in una posizione importante: ci interessano le energie che la città saprà raccogliere». Si capisce, a questo punto, come i primi due titoli della Italosvevo, usciti in una collana dedicata alla «letteratura inutile», siano Trittico di Hans Tuzzi e Piccolo dizionario delle malattie letterarie di Marco Rossari (pagg. 64, euro 10).

Tuzzi è da intenditori (cfr. l'intervista sul CdT del 21 gennaio). Scrittore raffinato, pure di gialli, autore di ragguardevoli guide all'antiquariato librario, elegante, milanese alla Stendhal, la sua opera, sfiorata da un dolce struggimento, potrebbe riassumersi con un'espressione di storia dell'arte che non dispiacerebbe al suo carattere «valdese»: ouvrage de Lombardie. Nel volumetto per la Italosvevo sono raccolti tre elzeviri-racconti (Aubade, Dinamo Kiev, Bavkalan) di sicuro fascino per i suoi cultori. Dopo la lettura, se è venuto appetito, consigliamo quell'incantato diario di viaggio che è In Irlanda. Nel paese dei sognatori, pubblicato dal Touring Club nel 2004.

Rossari invece vuole suonarle. Ha scritto un dizionario del diavolo, con nomi, definizioni ed esempi di attualissimi morbi letterari; un manuale di indole teppista, quel teppismo da delusione amorosa. Si vede che non ne poteva più della chiacchiera glam & chic & charme sugli inserti domenicali, sui blog, su Twitter, delle foto ovattate su Instagram con tomi aperti accanto a tazze di tè, bicchieri di vin rosso e mazzi di rose, dei libri coccolosi «per la fidanzata», della funzione consolatoria o fashionista della letteratura e più di tutto non ne poteva più del linguaggio dei cosiddetti critici. Infatti, alla voce Letteratura, la dice subito e per intera: «Medicinale con controindicazioni anche gravi». Poi fa piazza pulita: «Avanguardia: morbo novecentesco che ha diseducato i pazienti allo stile e alla preparazione. – È avanguardistico – No, è che non sa scrivere». E ancora, una stoccata ai fan della rilettura: «È un autoconvincimento snob-paranoide di avere già letto un classico mai aperto prima». E due colpi, uno alla deriva mondana delle presentazioni: «Booktour: pandemia catastrofica di presentazioni inutili. – Quest'autunno ci aspetta un booktour. – Poi cosa, la morte?» e l'altro al Genio con la Bandana, lo scrittore preferito dagli abbonati di Wired, il «mitico» DFW: «David Foster Wallace [morbo di]: perniciosa tendenza dell'intellettuale stremato a trovare più interessanti le note del testo». Azzeccato. Qui sotto proponiamo altri fulmini e tuoni, raccomandando l'assunzione di tutto il volume, due pagine a sera: un po' di febbre radical chic, o aristodem, la cura di certo.

E le prossime uscite? «Abbiamo ritrovato una conferenza di Giorgio Caproni sulla poesia, la pubblicheremo – ci informa Nucci, ormai tra folate di bora – e poi sarà la volta di Patrizia Carrano, con una serie di brevi epifanie su Giorgio Manganelli a Roma, negli anni Ottanta». Titoli d'élite? Dipende. Anche certe trattorie fuorimano, lungo la costa istriana, hanno pochi coperti, ma son sempre piene.

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dal libro:

Bukowskite: malaugurata tendenza a credersiscrittori in seguito a una colossale sbornia.(Al pub).– Altro giro! E domani: trenta cartelle in un sol fiato!(Tavolo accanto)– Quello ha proprio una brutta bukowskite.– Scommetto che è inedito.

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Dialetto: antico virus della lingua italiana diffusissimo in editoria in seguito a epidemia di bstseller sviluppatasi con l'insorgere dei primi casi di «sindrome di Camilleri».– Anche Tizio s'è messo ad aggiungere termini in dialetto per speziare la prosa. – Ma và a dà via i ciapp...

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Sindrome di Hemingway: elefantiasi testicolare.– Vuole scrivere un reportage da Fukushima.– Ha due coglioni così.– No, è solo la sindrome di Hemingway.

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Confusione di Achab: momento di megalomania ossessiva che porta a considerare degni di nota solo i romanzi sopra le 600 pagine.– Sta lavorando a qualcosa di grosso.– È in preda alla confusione di Achab.

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Malessere di Pavese: forma di malinconia estremamente contagiosa, diffusa specialmente nella zona delle Langhe, contraibile nei pomeriggi domenicali, persi nella bruma autunnale, dopo aver bevuto troppi bicchieri di Nebbiolo.

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Dostoevskijte: infezione al mesencefalo, che può spingere all'epilessia, all'omicidio o a sfornare un capolavoro dietro l'altro. – Magari mi venisse una bella dostoevskijte!

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Blog: temibile forma di vergognoso reflusso gastrico diffusa in Rete.– Oddio, hai un blog?– Sì. Ho preferito tenerlo per me.– Mi dispiace così tanto.

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