Mariano Sabatini: «Sono un rapinatore impunito di parole e voci»

Dalle nostre parti si è fatto conoscere con il romanzo Primo venne Caino (ed. Salani) vincitore lo scorso anno di due premi letterari: il Città di Como e la prima edizione del premio Giallo Ceresio. Mariano Sabatini, però è tutt’altro che un nome nuovo del panorama letterario e culturale italiano: oltre che apprezzato scrittore è anche giornalista, autore radiotv, uomo di cultura e direttore delle collane della casa editrice Polillo. I suoi libri sono in traduzione in Francia, Belgio e Canada. Lo abbiamo incontrato.
Mariano Sabatini, lei è una conosciuta e affermata figura del panorama mediatico italiano che in anni recenti, con i due romanzi L’inganno dell’ippocastano e Primo venne Caino, ha ottenuto importanti riconoscimenti come giallista: come mai ha scelto questo genere letterario?
«Forse è il genere che ha scelto me, nel senso che non c’è stata una riflessione. E non sono neppure tanto sicuro di aderire perfettamente al genere. Si tratta sicuramente di romanzi crime o noir ma quando scrivo non mi pongo il problema delle regole, dei tecnicismi propri delle scuole, né mi costringo in gabbie. Cerco di sviluppare storie in grado di coinvolgere i lettori, consapevole come sostiene Karl Kraus che solo chi sa fare della soluzione un enigma può dirsi artista».
Il personaggio principale dei suoi libri è un giornalista investigativo, Leo Malinverno. C’è qualcosa di autobiografico in questo personaggio?
«Neppure per un biglietto di auguri ci si può esimere dall’autobiografia. Ogni personaggio ha qualcosa di chi lo crea, anche solo perché inconsciamente mettiamo tic e manie di chi conosciamo o abbiamo incontrato. Io osservo molto, sono un rapinatore impunito di vita, parole, voci... lo sono fin da piccolo. Malinverno l’ho creato a mia immagine e dissomiglianza, ci scambiamo l’essenza vitale nel meccanismo dei vasi comunicanti. È giornalista come me, ha i miei gusti in fatto di donne, letture, musica, cucina... e soprattutto abbiamo la stessa sensibilità in fatto di etica professionale. Lui come me detesta l’uso e l’abuso della cronaca nera in televisione».


Qual è l’importanza del giornalismo investigativo oggi in Italia?
«Si fanno più inchieste di quanto si pensa ma meno di quanto sarebbe giusto. I nomi degli autori sono sempre gli stessi, Milena Gabanelli, Riccardo Iacona, Gianluigi Nuzzi, Emiliano Fittipaldi, Federica Angeli... Ma ci sono anche tanti colleghi sconosciuti che ogni giorno sfidano i potentati e gli ominicchi locali che, sebbene di piccola taglia, non sono meno pericolosi dei cosiddetti poteri forti. Di giornalismo, purtroppo, si muore. Ho voluto creare la figura di un giornalista investigativo per onorare un mestiere che ho amato, che è stato per me una passione bruciante. Per difendere certi principi, pur avendo ricevuto minacce e tentativi di intimidazione, non mi sono piegato e ho affrontato querele. Fortunatamente si sono risolte in nulla di fatto, ma non si può mai sapere prima».
Nei suoi libri descrive una Roma indimenticabile ma, pure, pericolosa e umbratile. Come vive lei Roma? E come considera il suo lato oscuro?
«Amo la mia città, la vivo da 49 anni. Sebbene mi sia ritagliato percorsi e territori miei, per certi versi rassicuranti, ho molti motivi di malumore. È una metropoli mal governata, come un razzo aerospaziale guidato da piloti della domenica. Questo da tanto tempo, e inevitabilmente tutto va peggiorando. Ci sono situazioni, come quella della spazzatura, ormai incancrenite, dove molti sopportano il puzzo, le mosche, la sozzura e pochissimi ci guadagnano. La bellezza di Roma, la sua storia millenaria soccombono dinanzi al lassismo e al parassitismo. In questo contesto nascono le mie storie, quella del candidato sindaco trovato sgozzato nella sua villa nell’Inganno dell’ippocastano o delle vittime scuoiate del Tatuatore in Primo venne Caino».

È vera l’affermazione che il giallo è il romanzo sociale di oggi?
«È innegabile che il giallo racconti i territori, anche quelli dell’animo, così come i mutamenti sociologici. Il guaio è che, pur nella presunzione di maggiore qualità letteraria, spesso la narrativa cosiddetta “non di genere” si ripiega su se stessa o sull’ego dei rispettivi autori, dimenticando che la vocazione originaria del romanzo è quella di intrattenere, avvincere, coinvolgere, appassionare. Questo fanno i gialli. E oltre al giallo spesso c’è molto di più».
Quali sono i progetti futuri dello scrittore Mariano Sabatini? Rivedremo all’opera il suo investigatore sui generis Malinverno?
«Mi fa piacere che lo definisca così perché a fronte di torme di commissari, ispettori, vicequestori, i giornalisti scarseggiano. In questo periodo, lui e io siamo nel bel mezzo di un gelido inverno, per dirla con Kenneth Branagh, nel senso che stiamo indagando assieme su un caso difficile. Ogni mattina mi sveglio presto e mi metto al lavoro, la cosa mi rende felice».