L’intervista

Mario Botta: «Snozzi, affascinato più dalle idee che dalle opere d’architettura»

Il ricordo di un collega architetto con il quale Luigi Snozzi, deceduto oggi, ha condiviso diversi progetti soprattutto negli anni Settanta
Luigi Snozzi © CDT/ARCHIVIO
Antonio Mariotti
29.12.2020 20:17

«Oggi siamo diventati tutti un po’ più poveri». È con queste parole che Mario Botta conclude le sue considerazioni sulla scomparsa, avvenuta ieri all’età di 88 anni, dell’architetto Luigi Snozzi, collega e amico con cui ha condiviso diversi progetti soprattutto negli anni Settanta. Snozzi era una figura di spicco di quella che si può definire la «seconda generazione» degli architetti ticinesi che hanno segnato il XX secolo. «Luigi Snozzi faceva parte della “generazione di mezzo” del fenomeno dell’architettura moderna in Ticino. - afferma Botta - Dopo la generazione dei Tami, dei Camenzind, degli Jäggli che costituivano i punti di riferimento per noi giovani ed erano tutti usciti dalla scuola di Zurigo. Successivamente, sono giunti alla ribalta i più giovani, che pure avevano studiato al Politecnico di Zurigo: Carloni, Snozzi, Vacchini, Galfetti e Flora Ruchat che - contrariamente ai maestri - avevano vissuto il Sessantotto. Poi arriverà la generazione successiva, alla quale appartengo, che però ha alle spalle una formazione diversa, più “mediterranea”, come nel mio caso acquisita a Venezia, che incrociava la cultura razionalista, più pragmatica, dell’architettura».

Processo di transizione

Due generazioni che danno quindi vita a un interessante transizione dall’architettura centrata sull’edificio costruito all’architettura pensata anche come declinazione sociale del vivere, come paesaggio, come territorio legato ai primi discorsi sull’equilibrio ambientale. «Snozzi si ritrova a cavallo di queste due realtà. - prosegue Botta - Ha avuto una formazione molto tecnica, costruttiva, razionale, però si è trovato di fronte, e si è poi innamorato, dei temi più ideologici, più legati alle idee. Forse si può dire che Luigi Snozzi sia stato un personaggio più affascinato dalle idee che non dalle opere d’architettura. Le idee costituivano la sua visione del mondo, le opere erano delle risposte parziali alla sua Weltanschauung. In questo senso, Snozzi ha vissuto sia a livello locale sia a livello internazionale, in particolare grazie al suo insegnamento al Politecnico di Losanna (dal 1985 al 1997: ndr.), questo cambiamento generazionale».

Riflettere sullo spazio urbano

La carriera di Luigi Snozzi, iniziata nei primi anni Sessanta, quando apre uno studio insieme al collega Livio Vacchini, è caratterizzata da una costante riflessione sugli spazi urbani come contesto di vita: «Quando costruisci una strada o un parcheggio, - recita un suo aforisma - non dimenticare che al volante c’è sempre un uomo». «La città è l’edificio collettivo. - commenta Mario Botta -Ancora oggi la riconosciamo come una delle grandi conquiste dell’umanità, la struttura abitativa più performante, più bella, più flessibile, più intelligente che l’umanità abbia costruito». Una riflessione non solo teorica, che ha portato Luigi Snozzi a dar vita a quello che si può considerare il suo progetto più compiuto: la completa riqualificazione della zona monumentale e dell’area circostante l’antico convento di Monte Carasso realizzata a partire dalla fine degli anni ’70. Un’operazione di grande importanza, sia perché Snozzi ha organizzato a partire dal 1979 proprio nella località bellinzonese una serie di Seminari estivi di progettazione che continuano tuttora e richiamano studenti da tutta Europa, sia perché - come evidenzia Botta - «a Monte Carasso ha fatto un altro piccolo esperimento che consisteva nel cercare di trasformare i nostri piani regolatori, che poco regolano, in una serie di normative più semplici che lì sono state anche applicate. In realtà illudendoci un po’ tutti quanti che con migliori regolamenti si potesse realizzare un migliore spazio di vita».

Progetti mai realizzati

D’altra parte, non bisogna dimenticare la serie di case unifamiliari di grande qualità realizzate da Luigi Snozzi tra la fine degli anni Cinquanta e la metà dei Settanta, ma neanche i suoi molti progetti mai realizzati. Per Mario Botta è proprio tra questi ultimi che si può ritrovare l’essenza dell’architettura del collega appena scomparso. «Potrei citare - dice - un progetto comune che dal punto di vista teorico ha avuto anche un certo rilievo: quello per la nuova stazione di Zurigo (1978: ndr.) che non è mai stato realizzato e che poi è “degenerato” con gli interventi più recenti. Oppure un altro progetto collettivo, a cui ha partecipato anche Tita Carloni, per il concorso del nuovo Politecnico di Losanna che ha avuto una certa eco poiché rovesciava il problema del costruire, non si trattava solo di metri quadrati abitabili ma di stabilire nuovi rapporti con il lago, con il paesaggio dei dintorni e con la vita del campus universitario».

L’attività didattica

L’attività didattica ha sempre rivestito grande importanza per Snozzi, anche perché - chiosa ancora Botta - «nell’insegnamento poteva sublimare i valori assoluti della disciplina, più che non quelli costruttivi, limitati, dell’abitare».

Oggi il fondo relativo all’attività di Luigi Snozzi è conservato all’Archivio del Moderno, emanazione dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. Un materiale prezioso che, Mario Botta ne è certo, diverrà in futuro un’importante fonte di studi sulla storia dell’architettura non solo ticinese.