Esposizioni

Milano e il cinema: tanta voglia di timidezza

Palazzo Morando ospita un percorso in immagini sui rapporti non sempre facili tra la città e la settima arte
Una scena di «Miracolo a Milano» di Vittorio De Sica (1951) girata in Piazza Duomo.
Adriana Rossi
06.01.2019 19:38

Raccontare il rapporto tra Milano e il cinema non è facile. Arte novecentesca per antonomasia, nella città più moderna di un’Italia spesso in affanno a staccarsi dal passato, il cinema vi rimane come sospeso, irrisolto. All’alba del secolo c’è una nascente struttura produttiva, degli stabilimenti a Turro. Ma di realizzare film a Milano si finisce presto: schiacciati dalla guerra mondiale e da Roma, che il fascismo imporrà a furor di Duce con l’edificazione di Cinecittà. Anche come set non è molto presente: bisognerà aspettare il dopoguerra perché diventi location ricorrente.

È la città del lavoro e dell’industria, perfetta per raccontare la contemporaneità e il cambiamento, il boom economico e l’immigrazione. Malgrado qualche tentativo, come la costruzione degli Stabilimenti ICET nel 1946, chi il cinema vuole farlo – vedi i produttori Rizzoli e Ponti – continua a trasferirsi nella capitale. La testa resterà sempre romana, anche se negli anni 70 e 80 Milano troverà una sua identità: quando qui troveranno casa due importanti filoni della narrazione cinematografica più popolare, i «poliziotteschi» della mala che ordina e della polizia che spara e la rampante commedia (post) all’italiana, figlia della tv e di quel mito del cabaret che fu il Derby.

Tutto questo cerca di raccontare - con circa 150 belle foto, una trentina tra manifesti e locandine, memorabilia varie e qualche selezionato video di montaggio - Stefano Galli nella mostra «Milano e il cinema», aperta fino al 10 febbraio nelle sale di Palazzo Morando-Costume, Moda e Immagine (via Sant’Andrea 6, 12 euro, mostramilanoeilcinema.it): non sterminata, si vede volentieri e volentieri ci si sofferma nelle stanze in cui è suddivisa per blocchi cronologici, con qualche espansione tematica e focus su alcuni dei suoi protagonisti (Tino Scotti, il cummenda Guido Nicheli). Il tutto raccolto nel bel catalogo che merita la spesa dell’acquisto (ed. Milano in Mostra, 44 euro).

Parla di «etica capitalistica e individuale» il curatore della mostra, di contro a un cinema che è «collettivo» e quindi poco si accorda allo spirito dei meneghini. Ma anche di «riluttanza a mostrarsi» da parte della città. Fin da subito: mentre altre città italiane di sé hanno lasciato immagini accattivanti e diverse, a Milano pare esserci solo il Duomo e la sua piazza. La sua trasformazione e la molteplicità di sfondi sarà ben documentata solo dopo la metà del secolo. E sono film epocali come Miracolo a Milano, Cronaca di un amore, Una storia milanese, l’episodio «automobilistico» di Ieri oggi e domani, Rocco e i suoi fratelli, La vita agra, La notte, Il posto. Che è lo spunto per aprire la parentesi sul cinema che meglio corrispondeva allo spirito imprenditoriale locale: il documentario industriale, di cui il dipendente Edison Ermanno Olmi fu esponente di vaglia, e la pubblicità, per lo più animazione, che nell’epoca dei «Caroselli» generò i piccoli maestri Pagot, Bozzetto, Gavioli, Cavandoli.

Un discorso a parte poi Galli lo fa per la commedia: genere principe e macina milioni del cinema made in Italy, negli anni 50 fu spesso in trasferta sotto la Madonnina: a partire da quel capolavoro dell’assurdo che fu Totò Peppino e... la malafemmina poi usanna tutta panna, L’udace colpo dei soliti ignoti fino al caso a parte o svitato di tutti il pi milanese con Daro Fo che fa il matto e la presenza platinata di Franca Rame. Ma è negli 80 che si sviluppa una «commedia alla milanese»: decine i titoli, da Ratataplan a Kamikazen, da Yuppies a Gli sdraiati, Nichetti, Celentano, Pozzetto, Abatantuono, Aldo Giovanni e Giacomo, Bisio. Ed è già oggi. E quasi non ci si accorge che in un anfratto ci sono (stati) anche Soldini e Guadagnino. Parallelamente a questa mostra, un’altra – «Rosanna Schiaffino e la moda. Abiti da Star» - è poi aperta fino al 29 settembre a Palazzo Morando: ancora cinema, ancora Milano (in parte), ma attraverso una quarantina di abiti recentemente acquisiti dal museo provenienti del guardaroba personale di una delle massime dive del cinema italiano anni 60/70, che a partire dagli 80 si trasferì a Milano, moglie dell’industriale-navigatore Giorgio Falk.