L’intervista

Mirko D’Urso: «C’è poca considerazione per il settore artistico»

A colloquio con l’attore, organizzatore di eventi nonché fondatore e direttore del MAT (Movimento Artistico Ticinese) sull’attuale situazione del panorama svizzero nella fase finale del lockdown
Red. Online
23.05.2020 06:00

Attore, organizzatore di eventi e responsabile di una delle strutture di formazione artistica (il MAT, Movimento Artistico Ticinese) più dinamiche della Svizzera italiana, Mirko D’Urso è una delle persone più indicate per analizzare, nella fase finale dell’emergenza coronavirus, la situazione del settore artistico per il quale il presente e il futuro hanno tinte fosche.

Dall’alto del suo triplice ruolo, come sta vivendo il lockdown artistico-culturale?
«Con preoccupazione. Non tanto per gli spettacoli che avevo in programma – miei e degli allievi del MAT – saltati e che cercheremo di riproporre in futuro, quanto per il “come” questo accadrà. A giugno infatti dovrebbero riaprire i teatri, ma ad oggi non è ancora chiaro a quali condizioni, in termini di sicurezza per gli spettatori e per chi è in scena. Noi, ad esempio, in diversi spettacoli abbiamo scene con baci e abbracci: potremo mantenerle? Ma non è questo a preoccuparmi, quanto il futuro della formazione».

Può spiegarsi meglio?
«Con il lockdown noi del MAT siamo stati costretti non solo a fermare i nostri corsi, ma abbiamo visto cancellati i doposcuola i contratti di formazione nelle scuole cantonali e nelle aziende. E sei primi siamo riusciti a sostituirli con lezioni online (che però sono un’altra cosa e che non abbiamo imposto ai nostri allievi – a chi non se la sentiva di seguirli abbiamo rimborsato un terzo della retta versata), il resto è andato perso. Speravamo che il fondo stanziato dalla confederazione potesse in parte aiutarci ma non è stato così».

Come mai?
«È stato comunicato che per le scuole artistiche private non è previsto nessun tipo di indennità per perdita di guadagno. Questo per una realtà come il MAT significa una perdita secca di decine di migliaia di franchi. Che se noi, in quanto struttura abbastanza forte, siamo stati in grado di sopportare accedendo ai prestiti concessi dalle banche (che comunque dovremo prima o poi restituire) per scuole più piccole significa rischiare di non poter riaprire. Ma anche noi che riapriremo non sappiamo come ciò avverrà».

Se non si aiutano le scuole, molti artisti si troveranno in difficoltà in quanto sono in pochi coloro che riescono a vivere di soli spettacoli

Quali difficoltà intravede?
«La prima è legata alle regole da applicare durante le lezioni. Fare una formazione musicale, teatrale o di danza tenendo i ragazzi a 1-2 metri di distanza, non è così evidente. Anche solamente per una questione di spazi. Noi abbiamo sale ampie ma ci sono scuole che lavorano in locali che con queste regole sarebbero fuori norma. Costringendole di fatto a chiudere. Per non parlare del fatto che, con ogni probabilità, per paura o per problemi economici, molta gente rinuncerà ad iscrivere i propri figli ai corsi. Il futuro insomma rischia di essere cupo specie se da parte elle autorità continuerà ad esserci poca attenzione alle nostre realtà».

Ritiene che alla cultura e allo spettacolo non sia stata destinata la giusta attenzione?
«In tutte le conferenze stampa di queste settimane non ho mai sentito nominare le scuole artistiche. Certo qualcosa è stato detto riguardo ai cinema e ai teatri ma mai su chi li fa funzionare. E parlo di tutti i professionisti o semiprofessionisti che vivono di ciò e per i quali l’insegnamento è una parte importante del salario. A parte poche star, infatti, nessuno riesce a vivere solo di spettacoli. Se poi gli stessi non si sa quando e come riprenderanno, le cose si fanno ancora più difficili».

Ma non ci sono stati dialoghi con le autorità in quest’ambito?
«So che Cristina Galbiati del Trickster Teatro si sta impegnando a livello cantonale per riuscire a dare un po’ di ossigeno alle compagnie teatrali. Io ho scritto diverse lettere sia al Cantone che alle autorità comunali ottenendo però risposte sempre molto cortesi ma prive di concretezza. Ed è questo il problema: non sappiamo come comportarci».

E a livello federale ci sono tavoli di consultazione?
«Pochi, come mi sembra ci sia poca considerazione nei confronti del settore artistico. Basti pensare che a fronte dei 230 milioni di aiuti richiesti ne sono stati autorizzati otto e mezzo. C’è poi la tempistica che è lunga e che per certe realtà rischia di essere letale».

Ma lei è ottimista o pessimista sul futuro del suo settore?
«Di natura sono ottimista. E credo che si andrà avanti con diverse tipologie di spettacoli e di formazione, almeno finché non avremo un vaccino contro il virus. Sono pessimista a breve termine: temo che a settembre il nostro settore arriverà drasticamente ridimensionato. Con gravi danni economici e culturali per il Paese».

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