Mite elogio dell’ozio creativo

Di solito alla vigilia delle vacanze scrittori, giornalisti e in generale intellettuali si premurano di consigliare cose da fare. Fare non vuol dire soltanto luoghi dove andare in vacanza (e dove è possibile andare visti i tempi), ma anche libri che si possono leggere, oppure mostre che vanno visitate. Eppure un tempo le vacanze, e in generale il clima estivo, erano il regno dell’ozio, e ancora di più della pigrizia. Soltanto che la pigrizia non è più una condizione dell’anima, e l’ozio resta sempre il padre dei vizi.
Per cui il consiglio non è quello di leggere, di andare per mostre e di muoversi il più possibile, ma è quello di spiegare come recuperare una pigrizia che non sappiamo più sopportare. Non è una bizzarria strana. Uno dei più grandi intellettuali del Novecento, al secolo Roland Barthes, in un suo celebre libro intitolato La grana della voce, raccontava della sua Parigi quando era bambino. E di come d’estate i portieri dei palazzi sedessero sulla strada senza far nulla. E aggiungeva: «È una visione della pigrizia cancellata. È probabile che adesso la pigrizia consista, non nel non far nulla, dato che non siamo capaci, ma nello spezzare il tempo il più possibile, nel diversificarlo».
Sono passati più di quarant’anni da quelle parole e Barthes, senza smartphone, senza social network, aveva intuito quello che noi, molti anni dopo avremmo chiamato il multitasking. E aveva capito che il dibattito tra insegnanti delle scuole sarebbe stato tutto centrato sul fatto che gli allievi non sono più capaci di concentrarsi, di stare su una cosa sola. E che ai dibattiti, la prima cosa che ti dicono è che non devi parlare più di un certo numero di minuti perché sennò l’attenzione cade, e che i video sul web devono durare pochissimo, poco più di uno o due minuti, perché sennò vengono interrotti e si passa ad altro. E persino nella musica c’è «una» canzone da ascoltare, perché l’idea di un album che un tempo si ascoltava mettendo la puntina del giradischi all’inizio del microsolco, sapendo che si sarebbe passati da una traccia a quella successiva dopo una pausa di circa due secondi, oggi sarebbe impensabile. E non è un caso che la parola longplaying sia caduta in disuso per colpa di quel long all’inizio che non si addice ai tempi.
Incapaci di staccare
Per cui non si riesce a staccare su niente. Le notifiche degli smartphone ci hanno impedito la pigrizia, e persino leggere, quando è una necessità per occupare il tempo, diventa qualcosa che può distrarci da noi stessi.
È giusto, soprattutto con questo caldo, con la stanchezza che abbiamo accumulato in questi lunghi e difficili mesi, fare un inno all’ozio e alla pigrizia? Qualcuno storcerà la bocca: i pigri non raggiungono risultati, i pigri si fanno passare davanti i treni senza prenderli. I pigri non producono, non fanno, non aiutano. Mentre essere efficienti produce energie, forza, l’efficienza è contagiosa (che dirlo in questo periodo non suona proprio benissimo), l’efficienza è una risposta necessaria. Non riusciamo a stare fermi senza fare nulla. Sono sicuro che in cima all’Everest, qualcuno che consulta le notifiche del telefono satellitare si trova sempre.
E qui ci viene in aiuto un altro personaggio. Poco noto al grande pubblico ma che ha avuto un ruolo assai importante nella cultura europea. Un uomo nato nel 1924 in India, nella regione del Punjab e morto nel 1989. Si chiamava Mohammed Masud Raza Khan, è stato uno psicoanalista importante. Si era laureato a Londra con una tesi sull’Ulisse di Joyce e aveva cominciato la sua professione di analista con la supervisione di Anna Freud. Ha scritto pochi libri Masud Khan, tutti assai importanti. Ma in uno, intitolato I sé nascosti, spiega una cosa del nostro vivere e della nostra mente assai interessanti. Parlando di creatività e dei processi che portano a generare qualcosa di nuovo, nelle arti come nelle professioni, dice che la creatività è un po’ «come un campo coltivato a maggese», ovvero un campo lasciato incolto, libero di rigenerarsi. E aggiunge: «quello che desidero esaminare non è uno stato psichico di inerzia o svagata indifferenza o semplice pigrizia dell’animo; non è neppure una forma di fuga da un eccessivo pragmatismo. È un modo di essere caratterizzato da una quiete vigile e una consapevolezza ricettiva, desta e sensibile. Abbiamo sostituito l’impegno personale con l’attivismo e il giacere incolti con un’inconcludente dovizia di tempo libero».
Nessuno è più capace di giacere incolto, come diceva Khan, e di sedere fuori dai palazzi a oziare come affermava Barthes. Siamo convinti che riposare significhi spostare l’attenzione. Forse bisognerebbe ricominciare a imparare a stare con se stessi, senza niente attorno che il nostro essere nel mondo. Una poesia Zen dice: «Seduto pacificamente senza far nulla, viene l’estate, e l’erba cresce da sola».