Murakami: «Così scavo negli abissi dell’inconscio»

È iniziata quarant’anni fa, durante una partita di baseball, la carriera di Murakami Haruki, uno scrittore che ha venduto milioni di libri in tutto il mondo, eterno candidato al Nobel, destinatario di molti riconoscimenti tra cui, venerdì scorso, il Premio Lattes Grinzane ricevuto ad Alba. Una storia che Murakami racconta spesso: «Il sole brillava e io mi gustavo una birra. Improvvisamente, mentre vedevo Dave Hilton portare a termine un tiro perfetto, ho capito che avrei scritto un romanzo». Da allora di libri ne ha scritti una trentina e altre svolte hanno accompagnato la sua vocazione letteraria: a 33 anni ha smesso di fumare sessanta sigarette al giorno, ha cominciato a correre e continua a farlo, al punto da aver terminato quest’anno la sua 38. maratona. Prima di dedicarsi a pieno tempo alla scrittura, ha aperto un jazz bar a Tokyo: un’attività – ha raccontato – che gli permetteva di ascoltare la sua musica preferita tutto il giorno, ma che abbandonò dopo il successo del suo primo libro, Ascolta la canzone del vento, che vendette più di trentamila copie e ricevette a sorpresa un premio. Da allora i successi si sono moltiplicati ed è soprattutto con il romanzo Norvegian Wood, che la sua fama è diventata internazionale.
Mens sana in corpore sano
Delle analogie tra la corsa, la musica e la scrittura, Murakami spiega: «Quando scrivo devo scavare nel profondo per attingere agli spazi neri della mia mente, dove le storie giacciono nascoste. Per fare questo ho bisogno di un fisico forte e sano». E ancora: «È possibile che la mia scrittura abbia tratto forte ispirazione dall’improvvisare tipico del jazz». Queste osservazioni e molte altre relative all’atto creativo, lo scrittore le ha esplicitate in una Lectio magistralis ad Alba dove non ha abbandonato la sua proverbiale ritrosia e riservatezza. Ne è uscito confermato il ritratto di un autore solitario ed elusivo, ma fiducioso nella comunicazione con i lettori attraverso «una buona storia, questo caldo, tranquillo, e anche naturale sentimento di solidarietà che ci lega a livello inconscio». Perché da quel livello scaturisce il tutto.
Due volti del Giappone
Attraverso uno stile che ha la semplicità dei classici, partendo da situazioni di assoluta normalità Murakami conduce, per luoghi e piani temporali diversi, a fenomeni più surreali che soprannaturali, sullo sfondo di un Giappone con, da un lato, realtà urbane, autostrade trafficate, luoghi all’insegna del consumismo globale, love motel; dall’altro paesaggi silenziosi, foreste remote, recessi silenziosi. Un Giappone che riproduce la dualità di tutta la sua opera: la realtà dell’esperienza e quella metafisica, mondi paralleli che si abitano (anche materialmente) in verticale. Un Giappone dove suppurano qua e là «distrattamente» le ferite di una crudeltà insita nel passato imperiale e dove non bisogna mai deporre la guardia nei confronti delle minacce di poteri economici oscuri, sette religiose, tentazioni totalitarie. È un mondo affascinante e infido quello che si varca con i suoi libri, un mondo insieme sconosciuto e famigliare, perché vive nei nostri sogni o sotto forma di emozioni, paure, istinti, nel profondo della nostra anima. Vi si accede attraverso una fessura che si apre improvvisamente nella superficie terrestre, qualcosa come una buca, un pozzo, una «pietra dell’entrata» o, semplicemente, attraverso la scala della piazzuola di una trafficata tangenziale. Per Toru, il protagonista di L'uccello che girava le viti del mondo, è un pozzo asciutto nel suo quartiere di Tokyo il tramite per accedere ad un mondo parallelo dove è convinto di ritrovare la moglie. Per Aomame (la giustiziera di 1Q84) la discesa diventa l’ingresso in un mondo dove la luna può dare origine a un suo doppio. Nell’Assassinio del commendatore da una buca circolare si accede al regno delle ombre e delle «metafore», da dove si materializza un’idea dotata di fine senso dell’umorismo, la stessa dipinta in un quadro i cui personaggi prendono vita. Perché stupirsi se in altri romanzi i pesci cadono dal cielo, pecore e gatti parlano, o uomini senza volto e ragazzi senza nome vi vengono incontro?
«Così lavoro»
«A me le storie piace raccontarle così», spiega Murakami . « A volte mi viene il desiderio di trasformare in forma letteraria un’immagine che ho dentro di me. Non ho quasi idea di quale sarà la trama della storia e neppure del finale. L’importante è che si tratti di storie che emergono in maniera naturale dal profondo di me». Scrive tutto d’un fiato degli incipit che vengono chiusi in un cassetto e lascia che fermentino, a poco a poco, come il buon vino, finché lievitano in un racconto o in un romanzo: storie che si depositano «negli abissi dell’inconscio» mescolandosi con altri «requisiti primari», per risalire poi alla superficie della coscienza, sotto forma di narrazione. «Più si va a fondo e più la propria anima si connette a quella degli altri. È un luogo buio, e molto silenzioso. Lì le differenze di lingua, razza o religione non hanno quasi alcun senso. Le anime, così come sono, nella loro essenza, si connettono in modo spontaneo».