L'evento

«Creare musica in Ticino? Difficile ma non impossibile»

In scena, questo weekend al Teatro San Materno di Ascona, "Cosmo Gabaglio", un triplice evento dedicato alla produzione artistica del ticinese Zeno Gabaglio — Il violoncellista racconta la genesi del progetto e le difficoltà del settore
Giacomo Butti
18.11.2022 06:00

Appuntamento, questo fine settimana, ad Ascona. Al Teatro San Materno andrà in scena Cosmo Gabaglio, un triplice evento dedicato alla produzione artistica del ticinese Zeno Gabaglio. Violoncellista, compositore e filosofo di formazione, il 43.enne è attivo da anni sia come creatore indipendente (cinque i dischi propri sinora pubblicati, con progetti in solo o in gruppo) sia come autore di musiche per cinema, teatro, installazione e letteratura. Sull’arco di tre appuntamenti verrà offerta la possibilità di conoscere il suo mondo nelle sue più ampie sfaccettature. Domani, alle 15, si terrà il primo appuntamento: Musica che serve. Il violoncellista proporrà un confronto-scontro con i colleghi Cristina Galbiati (creatrice teatrale) ed Erik Bernasconi (regista cinematografico) sul tema della musica impiegata in progetti superiori, non esclusivamente musicali, con esempi tratti dalle produzioni realizzate assieme ai due registi.

L'evento serale, invece, sarà dedicato alla figura di Charlotte Bara, fondatrice del Teatro San Materno. Ballerina tedesca naturalizzata svizzera, nel 1950 Bara riaprì i battenti della struttura (chiusa durante la Seconda guerra mondiale) con lo spettacolo La vergine stolta, ispirato alla parabola presente nel Vangelo di San Matteo (Matteo 25, 1-13). Alle 20.30 di domani andrà in scena dunque una rivisitazione che unirà diverse discipline: musica, letteratura, recitazione. Un modo, questo, per evocare misticismo e simbolismo tipici della poetica di Charlotte Bara.

Cosmo Gabaglio si chiuderà domenica con l'ultimo appuntamento, fissato alle 17: Cello vs. cello. Violoncello (suonato dal ticinese Mattia Zappa) e violoncello elettrico (da Zeno Gabaglio) saranno protagonisti di un botta e risposta tra musica classica e sperimentale.

Le origini del Cosmo

Ma che cosa vuol dire, per un artista, portare in scena uno spettacolo con il proprio nome? Ne abbiamo parlato proprio con Zeno Gabaglio. «Essere chiamato dal Teatro San Materno a proporre questo evento è stato ovviamente un onore, ma mi ha caricato anche di una certa responsabilità. L'invito è uno, esplicito: fare il punto della situazione su quello che è il mio percorso. Una richiesta, questa, che mette in difficoltà. Guardarsi allo specchio non è sempre facile. Insomma, ho accettato questo incarico con uno spirito di autoanalisi». Il musicista ci parla poi del nome dell'evento. Perché Cosmo Gabaglio?  «Si tratta di una scelta divertente fatta dagli organizzatori. L'obiettivo era rispecchiare la varietà di ciò che proporremo, ed è stato scelto il nome Cosmo proprio per evidenziare l'ampiezza degli approcci artistici portati nelle due giornate». Ma c'è un dato curioso: «Mio fratello si chiama Cosma. Gli organizzatori non potevano saperlo, ma c'è un'assonanza che mi risulta particolarmente famigliare in un titolo che ovviamente voleva dire tutt'altro», dice Gabaglio ridendo.

Contemporaneità

Zeno Gabaglio ci parla dunque del contenuto del suo Cosmo. Qual è il genere musicale dell'artista ticinese? Cosa costituisce il suo lavoro? «Amo la dimensione contemporanea della musica e cerco di evitare di replicare quanto già esiste. In musica c'è spesso questo dibattito legato al rapporto col passato, che si tratti di cover band oppure di musica classica. Addirittura alcuni dicono che chi fa musica classica propone in realtà una cover band di lusso. Nel riprendere elementi del passato e riproporli più o meno fedelmente c'è la tendenza a mettersi in una situazione protetta, rinnovando una bellezza che è già assodata e quindi garantita. La storia della cultura dell'Occidente, tuttavia, ci dice che la cultura è importante soprattutto nella misura in cui riesce a rappresentare l'essere umano nel suo presente. Quindi mi piace pensare di poter fare una musica, oggi, che in qualche modo rappresenti il sentire mio, della mia epoca, del mio territorio, andando così a costituire una parte dell'elemento culturale condiviso da tutti».

Serve, dunque, più coraggio per creare la propria musica? «Il coraggio serve sia a chi fa musica, sia a chi sceglie di ascoltarla. Nell'andare ad ascoltare i grandi nomi - che siano del presente oppure del passato - facciamo una scelta di cui sappiamo già il risultato. Non dico sia sbagliato, ma penso che di tanto in tanto sia utile fare una scelta diversa e mettersi in gioco, affrontare qualcosa che non si conosce. C'è persino chi sostiene che l'atteggiamento culturale più autentico è quello delle persone che ascoltano la musica che non piace loro, perché ascoltare ciò che piace è fin troppo facile, e fa entrare in una dinamica di godimento estetico che non è per forza quella della conoscenza e della cultura. Forse è davvero così, ma spero ovviamente che la mia musica possa piacere a chi viene ad ascoltare i miei concerti (ride, ndr)».

Per musicisti e ascoltatori è importante, insomma, uscire dalla comfort zone. «Spesso quando si parla di musica si utilizzano analogie gastronomiche. In questo caso un simile paragone rende l'idea: non tutti i giorni abbiamo voglia di mangiare qualcosa di nuovo, ma è anche vero che quando ci capita di farlo, e quel qualcosa di nuovo ci piace, la soddisfazione è più grande».

Creare e conservare

Cosmo Gabaglio propone un programma costruito sull'arte "Made in Ticino". «Quasi tutti i musicisti, registi, attori coinvolti nel progetto sono ticinesi», evidenzia il 43.enne. Ma in Ticino è facile fare musica? «In Ticino la creazione artistica, specialmente in ambito musicale, non è molto sostenuta. Ciò è vero soprattutto se si paragona tale sostegno a quello in favore della conservazione della cultura musicale del passato. Chi oggi è in grado di proporre la propria musica in Ticino deve buona parte del proprio successo a ciò che è riuscito a fare al di fuori del cantone, ai riscontri raccolti in altri territori. E si tratta di una verità trasversale ai generi e agli stili».

In quanto presidente della Commissione culturale cantonale (sottocommissione musica), Gabaglio ha esposto il problema anche in sede istituzionale: «Non nascondo di avere una parte di responsabilità per la situazione attuale: la necessità di un maggior sostegno alla creazione musicale è un discorso che però provo a portare avanti da tempo anche dentro le istituzioni, ma mettere in atto cambiamenti sostanziali è sempre difficile». Basta guardare i resoconti del sostegno cantonale alla musica, o alle arti in generale, «e rapidamente ci si accorge che per queste discipline, fino a poco fa, non era prevista alcuna forma di sostegno alla creazione», evidenzia il compositore. «Dall'anno scorso esistono dei bandi appositi per aiutare chi crea musica: uno strumento nuovo e utile, anche se sul totale la creazione tocca a malapena il 5% dei sostegni alla musica. Sono percentuali che parlano. E, peraltro, il Cantone è una delle poche istituzioni attive in questo senso: dai Comuni il sostegno è praticamente nullo. Solo la città di Lugano ha cominciato, anche tramite il LAC, a dare aiuti diretti alla creazione musicale. È un buon punto di partenza. Il punto d'arrivo, ovviamente, sarebbe una situazione di reale equilibrio tra il sostegno dato alla creazione di nuova musica e alla conservazione del patrimonio musicale del passato.

L'epoca COVID

Insomma, essere artisti non è facile. Ancor meno se si cerca di creare qualcosa di nuovo. E l'epoca COVID non ha certo aiutato: le conseguenze della pandemia si fanno ancora sentire? «La pandemia ha rappresentato uno shock gigantesco per l'arte. Le misure messe in atto per rimediare a quel trauma pazzesco sono state abbastanza buone. Le istituzioni nazionali e cantonali hanno reagito piuttosto in fretta e in maniera puntuale. Quindi problemi legati alla sussistenza immediata non ce ne sono stati e non ce ne sono più». Ma alcuni aspetti della convivenza con il coronavirus perdurano: «Valori e abitudini rispetto alle arti performative dal vivo sono stati rimessi in discussione. Non siamo di certo tornati ai livelli del 2019: c'è ancora una certa resistenza - magari consapevole, magari un po' meno - rispetto alla partecipazione agli eventi. Una difficoltà persistente che tocca anche gli organizzatori. Chi, fra questi, si trova in una posizione istituzionale (vicina alle strutture pubbliche) ha potuto andare avanti. Ma molti organizzatori privati, invece, hanno dovuto smettere o stanno facendo ancora una certa fatica a riacquisire ritmo e partecipazione. Inevitabilmente, il COVID ci ha fatto rimettere in discussione le nostre abitudini: "È necessario uscire, è necessario uscire così spesso"? Oggi molti risponderebbero di no e si farebbero bastare un concerto al mese invece degli abituali quattro. Sarà così per sempre e per tutti? Di risposte definitive non ne abbiamo (ancora). Ma la situazione, è innegabile, non è più quella di prima».

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