Gli Oasis, dunque, torneranno anche nel 2026?

L’estate 2025 ha avuto un suono preciso, riconoscibile fin dalle prime note: quello degli Oasis. La reunion più attesa e, per certi versi, più improbabile del rock britannico si è trasformata in un pellegrinaggio collettivo, con centinaia di migliaia di fan pronti a riempire stadi e parchi per riascoltare canzoni che hanno segnato un’epoca. O, se preferite, veri e propri inni. Con le date di Dublino, nel weekend, si è concluso il tour fra Regno Unito e Irlanda. Quale, dunque, il bilancio?
Chi c’era, come noi a Manchester, è stato travolto soprattutto dal calore. Non tanto (o non solo) quello del sole, spesso impietoso, ma piuttosto quello che saliva dalla folla: cori che cominciavano molto prima del primo accordo, bandiere, lacrime, braccia al cielo o, ancora, a tenere il tradizionale bucket hat sulla testa durante i momenti più concitati, esecuzione di Cigarettes & Alcohol su tutti. Più che un concerto, ogni data ha assunto la forma di una celebrazione condivisa, un rito popolare che travalicava l’anagrafe dei presenti. Perché tra i ventenni nati dopo il periodo d’oro e i quaranta, cinquantenni che hanno vissuto i fasti degli anni Novanta, la differenza si è annullata – come per magia – lasciando spazio a un’unica, compatta emozione.
Il vero spettacolo, però, non si è consumato solo attraverso le canzoni. A colpire è stata soprattutto la dinamica fra Liam e Noel Gallagher. Sul palco, i due fratelli hanno ritrovato un equilibrio insperato: non la fratellanza zuccherosa delle reunion costruite a tavolino, ma una complicità fatta di sguardi, battute a metà fra il tenero e l’acido, sorrisi che a tratti sembravano liberatori, perfino abbracci e occhi ludici. Una bromance verissima ancorché fragile, capace di scaldare i cuori quanto e forse più di Wonderwall. In questi scambi, sempre più intensi con l’aumentare delle date, si è capito che questa reunion non è stata spinta soltanto dal business o da sponsorizzazioni monstre come quella di Adidas: i fratelli-coltelli hanno dimostrato che, almeno per qualche ora, è possibile archiviare anni e anni di rancori e ritrovare un linguaggio comune.
E adesso? Adesso la band volerà in Nordamerica e Messico, quindi due date extra a Londra e poi un lungo pellegrinaggio fra Corea del Sud, Giappone, Australia e Sudamerica. Fino a novembre. Ma le orecchie dei fan sono già orientate al 2026, pronte a intercettare un accenno di ufficialità fra le tante, tantissime voci di una nuova estate oasisiana che comprenda, oltre al Regno Unito, anche il resto dell’Europa. Già, il tam tam dei fan e dei promoter non si è fermato agli show dell’estate. Si parla, appunto, con insistenza di nuove date il prossimo anno: Knebworth come ritorno mitico, là dove la band si consacrò in maniera definitiva nel 1996 facendo convogliare 250 mila persone per due serate, Milano come tappa sussurrata a breve, brevissima distanza dal Ticino, forse persino Zurigo per allargare il raggio a un pubblico svizzero che aspetta da anni. Niente di ufficiale, certo, con l’ombra delle fake news invero sempre presente. Ma sono bastati alcuni sussurri, sui vari account dei fan dedicati alla band, per alimentare il mito. E per trasformare il presente in promessa. Di mezzo ci si è messo pure il Sun, tabloid che, di tanto in tanto, ci azzecca. E ci si è messo altresì Liam. Il quale, dal palco di Edimburgo, prima di intonare Champagne Supernova ha salutato il pubblico con un significativo «we’ll see you again». Tradotto: «Ci rivedremo». Per carità, magari intendeva che avrebbe condiviso volentieri una birra al pub con gli spettatori delle prime file. Ma quella frase aveva (e ha) tutti i crismi di un secondo ritorno sul palco, nel 2026 come detto.
E così, questa estate degli Oasis potrebbe durare più del previsto. Non solo come ricordo inciso nelle setlist dei concerti, così Nineties da far impallidire perfino gli storici, ma come tempo sospeso. Un’estate che non può e non deve finire. Un’estate che, anzi, forse è appena cominciata.