Il compleanno

I 90 anni di Yoko Ono, una vita tra amore e anticonformismo

Sopravvissuta a mille avventure, dall’abbandono della famiglia per dedicarsi all’arte, alle polemiche con i Beatles fino alla tragedia di Central Park, Yoko Ono è una delle ultime vere icone rimaste di un’epoca indimenticabile
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Alessio Brunialti
18.02.2023 06:00

Due classici del rock’n’roll resi celebri nel Regno Unito, e poi in tutta Europa, dai Beatles: Money e Dizzy miss Lizzy oltre a quella Blue suede shoes che Elvis aveva già scippato a Carl Perkins. Come bonus un pezzo «minore» dall’album bianco dei Fab 4, Yer blues, e i due singoli da solista: Cold turkey e l’inno Give peace a chance. C’erano tanti motivi, a dicembre 1969, per acquistare il primo album della Plastic Ono Band, Live peace in Toronto. Quella bella scaletta, e poi si trattava del primo album dal vivo in assoluto pubblicato da un Beatle, a tre anni dall’ultima tournée e a 11 mesi da quell’estemporanea esibizione sulla terrazza della Apple che non aveva ancora trovato una collocazione discografica. E anche se John Lennon si nascondeva dietro la sigla di una band – che schierava nei ranghi nientemeno che Eric Clapton – era il primo vero disco da solista di uno della band che, pochi lo sapevano, era praticamente già sciolta. C’era pure un calendario in omaggio, buttalo via (e chi lo ha buttato via oggi si mangia le mani perché vale un sacco di soldi). Poi, però, sulla seconda facciata avveniva l’abominio. Due canzoni: Don’t worry Kyoko (Mummy’s only looking for her hand in the snow) e John John (Let’s hope for peace) un solo grido, quello selvaggio, belluino, straziante, dilacerante, insopportabile di Yoko Ono, con un innamoratissimo John Lennon che costringeva gli altri ad andarle dietro (nel filmato l’espressione di «Slowhand» è impagabile). Un incubo che si ripeteva.

Prima di quel disco, John & Yoko ne avevano già pubblicati tre, ma nessuno li aveva presi sul serio – né, tantomeno, acquistati. Due volumi di Unifinished music, musica non finita. Il primo, Two virgins, non si ricorda per la musica, anche perché praticamente non ce n’è, ma per la copertina che mostra la coppia più chiacchierata del music business in tenuta adamitica. È difficile oggi comprendere l’impatto di quell’immagine, a più livelli. Ora siamo abituati a tutto e il corpo umano di chiunque non ha praticamente più segreti. Ma la visione del musicista più famoso del mondo con tutti gli attributi in vista era qualcosa di dirompente. E la constatazione che la donna che gli aveva fatto rompere il sacro vincolo del matrimonio e abbandonare il tetto coniugale non era una bomba sexy come Raquel Welch, ma una giapponese spettinata dal fisico non perfettamente proporzionato era, altrettanto, devastante per le fan. E per i fan. Life with the lions li ritrae vestiti, ma in un momento drammatico: in ospedale dopo l’aborto spontaneo del bimbo che Yoko portava in grembo. Il battito del cuore della creatura era oggetto di uno dei brani del lato B, assieme a un’improvvisazione vocale sui titoli dei giornali, due minuti di silenzio in memoria della creatura morta prima di nascere e una dozzina di minuti di Lennon intento a giochicchiare con una radio. E il lato A... «Questo è un pezzo intitolato Cambridge 1969», sussurra appena Ono per poi lanciarsi in un grido così dilacerante da risultare più penetrante del feedback di chitarra di John. Alla fine, per aggiungere disordine al caos, si aggiunge il sassofonista free John Tchicai rendendo quei 26 minuti 26 un vero tormento. Ultima prodezza un Wedding album dove la coppia condivide con i seguaci (oggi si direbbe con i follower) esattamente quello che oggi mettiamo sui social: la torta nuziale, le foto dell’evento. Sul vinile, per 22 interminabili minuti, i due si chiamano a vicenda da un canale all’altro dello stereo per poi regalare un audio verité della luna di miele pubblica, in un hotel di Amsterdam a parlare di pace con giornalisti ironici e visitatori ansiosi di demolire le certezze e l’ingenuità dei due.

Poi i Beatles si sono sciolti e la misura fu colma. È tutta colpa di Yoko Ono. Yoko la strega, «brutta come la notte» (infelicissima definizione di una diffusa enciclopedia italiana), «la donna che ha ucciso i Beatles». La sua carriera successiva è stata seguita da pochi indomiti e collezionisti terminali di Lennon, con la narrazione della sua vita affidata al biografo detrattore Albert Goldman, che tutti attaccarono quando descrisse John come un bipolare, forse assassino dell’amico Stuart Sutcliffe, cripto-gay e musicista mediocre liquidando Imagine come «noiosa quanto un coro dei quaccheri», ma sul ritratto di Ono arrivista, priva di talento, millantatrice, Circe, tossica, fedifraga nessuno ebbe nulla da eccepire. Yoko Ono compie 90 anni, solo tredici dei quali, dal 1968 all’omicidio, sono stati vissuti con John. Dall’8 dicembre del 1980 vive mantenendo il suo ricordo, crescendo l’amatissimo figlio Sean e continuando, ostinatamente, a pubblicare dischi, perché era una musicista e performer prima di incontrare Lennon, durante e anche dopo. Aveva avuto una vita che rispecchiava quella del compagno, specularmente. Lui abbandonato da entrambi i genitori, studente dai voti scarsi, ribelle senza causa, folgorato dal rock, star irriverente prigioniera di un’immagine sempre più detestata. Lei nata in famiglia opulenta, a cui si ribellò fuggendo dal Giappone, entrando in contatto con le avanguardie artistiche, ammiratrice di John Cage e del movimento Fluxus, interprete di performance estreme come quella in cui il pubblico era invitato a tagliarle i vestiti di dosso con una forbice. Figuriamoci se una così si scomponeva per una foto in déshabillé. Si conobbero nel 1966, divennero inseparabili due anni dopo e lei cambiò davvero la vita di lui. Lennon iniziò a sperimentare, a interessarsi al pacifismo e ai movimenti libertari, da semplice cantante famoso divenne una sorta di guru, con tutti i limiti del caso. Lei non capiva il rock’n’roll: ha raccontato che le urla erano la sua reazione al fragore delle chitarre elettriche, che era estraneo al suo retaggio di pianista classica.

Si incontrarono a metà strada: lui liberandosi brevemente della forma canzone, a cui fece ritorno presto, lei raggiungendola. Per tutti gli anni Settanta, a un album di lui ne corrispondeva uno della donna, che nessuno ascoltava nel terrore di essere travolti da quelle grida. Ma non era così: Yoko Ono / Plastic Ono Band, Fly, Approximately infinite universe e Feeling the space sono lavori eclettici che avrebbero meritato più attenzione (nel primo appare perfino Ornette Coleman). Difficile, anche nell’era in cui insultare una persona per il suo aspetto fisico o per la sua etnia è considerato, giustamente, un abominio, forse impossibile sollevare quel velo di odio. Ma un uomo l’ha amata, e tantissimo, e questo le basta per superare tutto.