I Green Day sono tornati per «salvarci» tutti

Un tempo le band si scioglievano. Quasi mai per motivi prettamente musicali. Entravano in gioco gli ego dei componenti, le loro vicende personali, ma anche la stanchezza, la ripetitività. Suonare sempre con le stesse persone, sempre le stesse canzoni, può essere snervante. Poi c’è il fenomeno delle reunion, quasi mai per motivi prettamente musicali. Entrano in gioco i soldi, forse anche la nostalgia della gioventù e del successo passato. Ma da un certo punto, potremmo prendere gli U2 come punto di partenza, tante band rimangono insieme ben oltre i limiti delle loro capacità creative. Le più tenaci, proprio come il quartetto irlandese, non cambiano neppure mai formazione. Questo perché, forse, la storia del rock gli ha insegnato che non è necessario essere sempre amiciamici come ai tempi del liceo, che si può vivere benissimo senza frequentarsi continuamente, ritrovandosi solo quando è il momento di lavorare, come dei seri professionisti.
In questo senso la più longeva band che non si è mai sciolta, il grande punto di riferimento anche se degli originali sono rimasti solo due elementi – e che elementi – il modello da seguire si chiama Rolling Stones.
Ma il punk era un’altra cosa, era la musica di chi brucia in fretta e se abbiamo numerosi dischi dei PIL, ad esempio, non sarebbe pensabile «il ventiseiesimo disco dei Sex Pistols», o «il trentunesimo dei Clash». I Ramones hanno continuato a riproporre la loro formula fino allo sfinimento prima che la falce si abbattesse su di loro. Ed eccoci ai Green Day. Questo lungo preambolo serve per introdurre Saviors, il quattordicesimo album del trio che ha sfruttato una formula di enorme successo – canzoni pop suonate con irruenza punk – fino allo sfinimento.
In effetti il precedente Father of all motherfuckers era stato accolto un po’ tiepidamente dalla critica più attenta e così, per non sbagliare, Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt e Tré Cool hanno richiamato Rob Cavallo, il produttore responsabile di Dookie e American idiot, per non citare che due capolavori, per assicurarsi un buon risultato. E lo è.
Certo, la formula può stancare, ma finché è unita a commenti sociali come quelli di The american dream is killing me, Dilemma o Strange days are here to stay dimostra che il trio ha ancora qualcosa da dire (e da cantare e suonare). Un tempo le band si scioglievano: i Green Day non lo hanno mai fatto, per fortuna.