Il personaggio

Il paradosso di Bruce Springsteen

Il Boss torna con un nuovo disco, 15 cover di successi soul, e con un nuovo tour che toccherà anche la Svizzera – Ma negli Stati Uniti è soprattutto un’icona politica, che sostiene i democratici ed è amata anche dai trumpiani
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Stefano Olivari
12.11.2022 13:45

Bruce Springsteen ha musicalmente ormai poco da dire, ma lo dice benissimo. E anche in Only the Strong Survive, solo i forti sopravvivono, suo ventunesimo album, lo ha dimostrato. Del resto le canzoni nemmeno sono sue: classici del soul anni Sessanta e Settanta, stile Motown ma non soltanto. Ma al di là della musica il Boss è sempre stato un’icona politica, quindi il suo ritorno sulla scena, con il disco e il tour, è atteso dall’America quasi come l’annuncio di una candidatura presidenziale. 

Disco e tour

A 73 anni è umano guardare più al passato che al futuro e Springsteen non fa eccezione. Oltretutto Only the Strong Survive non è nemmeno il suo primo disco di cover: basti ricordare We Shall Overcome: The Seeger Sessions, del 2006, basato su canzoni di quella tradizione folk che del resto Springsteen ha saccheggiato per costruire molti suoi grandi successi. Con Only the Strong Survive, pensato durante il lockdown da Covid, il Boss rende omaggio alla cultura afroamericana, lui rappresentante di un’America bianca ma di perdenti e quindi in qualche modo affini alla maggioranza degli afroamericani. Certo fra i perdenti non c’è lui, che in carriera ha guadagnato oltre 700 milioni di dollari, ma torna a suo merito avere mantenuto nei decenni una credibilità che il 99% delle altre stelle non ha. Nel disco ci sono canzoni portate al successo dai Temptations, dai Commodores, da Ben E. King, da Diana Ross & The Supremes, ma anche da artisti più di nicchia. Non sono imitazioni, tutto viene ‘springsteenizzato’ anche se la strumentazione è abbastanza minimal e le esplosioni da stadio sono bandite. Probabile che poche di queste canzoni vengano proposte nel tour del 2023, che il 13 giugno toccherà il Letzigrund di Zurigo e il 25 luglio, per citare un’altra data a tiro, all’Autodromo di Monza. Ma i concerti di Springsteen sono così lunghi che c’è spazio per ogni scelta, come ben sanno i cultori dei bootleg.

Democratico

Ma al di là del disco, 15 canzoni in totale, in vinile un doppio album, l’interesse dell’America attuale è per lo Springsteen politico. Da sempre identificato con i democratici, anche perché cresciuto in un’epoca in cui la classe operaia bianca votava in massa per i democratici, come partito non ancora ostaggio del politicamente corretto. Le persone raccontate da Springsteen per oltre mezzo secolo, donne e uomini perdenti anche quando riescono finanziariamente ad arrivare alla fine del mese, non votano più democratico e non sono nemmeno così attratte dai repubblicani conservatori del vecchio tipo. Ma le posizioni politiche del Boss non devono essere banalizzate, anche perché lui non ha mai sfruttato la politica né mai se ne è fatto sfruttare. I genitori non parlavano mai dell’argomento, ma quando il giovane Springsteen chiese alla madre per chi votassero lei fu chiara: «Siamo democratici perché i democratici sono dalla parte dei lavoratori». 

Vietnam

La rockstar più amata del pianeta fa parte a tutti gli effetti della generazione della guerra del Vietnam. Da diciannovenne evitò l’arruolamento, nel 1968, fingendo di essere un ritardato mentale e sfruttando anche una commozione cerebrale dovuta a una caduta dalla moto. Il Vietnam tornerà nella celeberrima Born in the U.S.A., in onore di un soldato morto lì e che sarebbe potuto essere lui. Canzone davvero non compresa, soprattutto fuori dagli Stati Uniti dove anzi qualcuno la prese come un inno al reaganismo (fenomeno culturale, al di là di Reagan, che aveva criticato già in Nebraska). Ma nel corso degli anni Springsteen si è schierato non soltanto contro quasi tutti gli interventi militari americani, anche quelli sotto amministrazioni democratiche, ma anche contro il nucleare, contro un’economia basata sui debiti, contro le disuguaglianze che la new economy ha ingigantito, contro l’informazione in malafede, contro lo sfruttamento degli immigrati, contro le violenze della polizia sugli afroamericani tanti anni prima del Black Lives Matter. Qualche volta si è anche schierato per il candidato democratico alla presidenza: nel 1972 partecipò a una raccolta fondi per George McGovern, rivale di Nixon (e sconfitto), nel 2004 ha sostenuto John Kerry contro Bush figlio (altra sconfitta), nel 2008 Obama (questa volta vittoria) e nel 2016 Hillary Clinton, sconfitta da Trump. 

Repubblicano

Il fatto che Springsteen sia al tempo stesso un democratico non troppo schierato, un sostenitore delle idee liberal senza avere l’aspetto del liberal, e un critico dell’America nel nome dei veri valori dell’America, ha fatto sì che sia sempre stato seguito con attenzione dai repubblicani. E dagli anni Ottanta in poi lui è diventato un’icona anche di destra, quasi a sua insaputa. Mentre i rapper raccontavano storie di degrado metropolitano, Springsteen cantava la dura vita dei bianchi non soltanto del New Jersey ma di tutte le piccole città, senza opportunità né prospettive. E ai suoi concerti i fan cominciarono a sventolare bandiere a stelle e strisce: Springsteen denunciava tutto ciò che in America non andava, e lo faceva di sicuro da una prospettiva democratica, ma lo faceva anche da americano vero che si sentiva tradito dal suo Paese. Arrivò al paradosso di ricevere elogi da Reagan, che da grande animale politico aveva intuito con qualche decennio di anticipo verso dove si sarebbe spostata la classe operaia bianca. Non tanto verso i repubblicani, ma verso un modo di fare politica più diretto, nel bene e nel male. Certo il Boss non ha alcuna simpatia per Trump, che ha definito «narcisista tossico», ma l’America in cui lui è cresciuto è diventata trumpiana (nel 2016 fra gli elettori bianchi non laureati Trump ebbe il 64% e la Clinton il 28%) e fra due anni magari si sentirà più rappresentata da Ron DeSantis che da Biden o qualunque candidato sostenuto da media e università liberal, cioè da una tipologia di persone che il giovane Springsteen non ha mai visto nemmeno dipinte. Certo è che Springsteen non è un opportunista: lui le sue idee le ha sempre dichiarate, a essere cambiata è la vita di chi le ascolta.