L’incontro

«Il rap deve ritrovare contenuti»

A colloquio con il rapper italiano Inoki, ospite del nono Film Festival Diritti Umani di Lugano a margine della proiezione di «El Arena», film di Jay B. Jammal che si muove nel mondo underground delle «battle» tra rapper in Medio Oriente
Il rapper emiliano Fabiano Ballarin, alias Inoki (43 anni). Ha all’attivo una dozzina di album l’ultimo dei quali «Medioego» del 2021.
Viviana Viri
21.10.2022 06:00

«Sono i contenuti, o meglio è l’assenza di contenuti, che ancora non riesco a capire. Tanto rap di oggi ti porta in vicoli ciechi, su binari morti. Spero che le nuove generazioni si rendano conto che la parola rimane per sempre». Dalla sua apparizione alla fine degli anni Novanta Inoki, pseudonimo di Fabiano Ballarin, è un’icona del rap italiano. Domani sera, dopo la proiezione del film El Arena, dedicato alle battle tra rapper in Medio Oriente, sarà ospite del Film Festival Diritti Umani di Lugano.

Già nell’album Antidoto (2014) i suoi testi esprimevano una forte critica verso la società e il disimpegno dell’hip hop contemporaneo. Temi che ha ripreso nel l’album Medioego (2021) in cui sottolinea l’importanza di tornare a parlare nella lingua dei giovani dei temi complessi e delle criticità del nostro tempo. Cosa manca all’hip hop di oggi?
«Non essendoci contenuti nella società è normale che i ragazzi non abbiano contenuti da raccontare. Questo è il problema principale. Io ora sono un adulto, ho vissuto un’altra epoca e ho delle esperienze da condividere. L’industria non può continuare ad investire su ragazzi sempre più giovani e sperare che raccontino storie di vita. I ragazzi hanno prima bisogno di vivere, altrimenti non avranno mai dei contenuti dentro di loro da esprimere. Inoltre nell’hip hop di oggi manca un po’ di cultura, di ricerca e rispetto delle radici, aspetti che per quelli della mia generazione erano fondamentali. Sono nato alla fine degli anni Ottanta ma, anche se non li ho vissuti, conoscevo bene il rap di quegli anni. Mi sembra che ai giovani della tradizione non importi nulla e che pensino solo ai soldi e alle mode del momento. Lo trovo molto triste, in questo modo si sminuisce una cultura che è molto più di questo. Si tratta comunque di un discorso difficile da fare se pensiamo che la nostra società si basa soprattutto su questo. Ma alla fine lo capiranno, è la cultura che rimane non la moda».

Quanto è difficile in ambito musicale parlare di cose scomode?
«In Italia c’è sicuramente molta più libertà di espressione che in altri Paesi, ma anche meno rispetto a molti altri. Nelle nuove canzoni trap mi capita di sentire cose che ai miei tempi non avrei mai potuto dire. Quindi in realtà le cose scomode si possono anche raccontare, il vero problema è capire se ciò che hai dentro è la verità, e soprattutto se sei capace di raccontarla a te stesso. Solo così che potrai dire la verità anche al microfono. Per me non è sempre stato facile, ma sono felice che il mio percorso sia stato questo».

Quali cambiamenti sta attraversando l’universo rap oggi?
«I cambiamenti vanno di pari passo con i cambiamenti della società, il rap è lo specchio della società. Negli ultimi anni, musicalmente, è successo di tutto: sono cambiate le sonorità, tutto è più tecnologico, più veloce e pieno di immagini. In questo si perdono un po’ i contenuti ma poi, quando si vedono film come El Arena, senti che c’è ancora speranza. È importante che vengano comunicate realtà come quella descritta nel film perché a me sembra che oggi la gente voglia sentire solo cose stupide e questo mi preoccupa. Non capisco però se è colpa della gente o di chi gliele racconta. Sembra quasi che i contenuti facciano paura. A me invece ispirano, danno motivazione. I contenuti quelli reali, quelli veri, quelli che mi raccontano un vissuto, che descrivono una realtà che non conosco o anche quelli in cui mi posso rivedere. L’hip hop dovrebbe servire proprio a questo: a prendere una situazione difficile e a incanalarla in qualcosa di positivo, come una strofa».